L’incapacità di comprendere il presente: come criticare il M5S
Molto, troppo, ha fatto discutere la nostra posizione pubblica riguardo alle prossime elezioni romane, svelando il solito nervo scoperto della sinistra residuale rispetto alle elezioni: da passaggio prettamente tattico vengono sempre affrontate con l’ansia da prestazione data dall’evento, a cui dare la massima rilevanza strategica sia nel caso dei votanti a prescindere sia nel campo dell’astensionismo purista. Niente di nuovo. L’ovvia marea di commenti ha però fatto emergere una questione a suo modo interessante, questa sì imprevista. Nel criticare giustamente le caratteristiche politiche del Movimento 5 Stelle, abbiamo scoperto che il Movimento di Grillo viene concepito nientemeno che partito “fascista” o addirittura “neofascista”.
La questione è di estremo interesse, perché la critica serrata ad un soggetto politico ha un suo valore se viene centrata, se cioè si hanno le capacità interpretative per comprendere i suoi limiti, il suo ruolo sociale, il paesaggio politico nel quale è inserito, le ragioni sociali della sua nascita e della sua forza. Una critica sconclusionata non interessa tanto l’aspetto teorico della vicenda, in questo caso marginale, ma inficia gli strumenti da predisporre per l’agire politico della sinistra nella società.
Veniamo allora al dunque. Secondo molti, davvero troppi, tastieristi militanti, il partito di Grillo sarebbe un soggetto “neofascista”. Il neofascismo è però un ambiente o area politica contrassegnata da alcuni tratti peculiari: soggettivamente, è un’area estremamente settaria, ideologizzata, filosoficamente elitaria; è una scelta che viene vissuta come “stile di vita” caratterizzata da elementi razziali e spirituali rivendicati e posti alla base di una scelta politica “ideale”. Concretamente, invece, il neofascismo è frutto di un determinato pezzo di borghesia impaurita dalla forza sociale dei movimenti antagonisti dagli anni Sessanta in avanti. E’ infatti in questo tornante storico che avviene il passaggio da “neofascismo regime”, sostanziale continuazione del disciolto Pnf nel Msi, al “neofascismo sociale” che riprende lo “spirito” diciannovista o tardo-repubblichino rompendo a parole con la “destra ufficiale”. Il neofascismo assolve una funzione che in parte recupera il senso del fascismo storico: impedire l’accumulazione di forza del movimento operaio. Se il “fascismo” rappresentava un problema di *potere* per le classi subordinate dell’epoca, il “neofascismo” figura un problema di *agibilità* per la sinistra di classe. Casapound, Forza Nuova e altra merda varia non sono un problema perché possono “andare al potere” o anche solo incidere nelle scelte di potere (ma quando mai, siamo seri), ma perché sottraggono agibilità politica alla sinistra e ai suoi militanti. Stiamo tagliando con l’accetta chiaramente, non è questo il cuore del discorso, quanto piuttosto scovare le presunta analogie tra i due movimenti, per alcune tweetstar addirittura evidenti. Il Movimento 5 Stelle possiede queste stesse caratteristiche? Dice o esprime le stesse idee e/o la stessa visione del mondo del neofascismo? Assolve allo stesso compito storico?
Nel tempo, prima del tempo, ci siamo occupati di svelare la natura intimamente populista-reazionaria del movimento grillino:
https://www.militant-blog.org/?p=9487
https://www.militant-blog.org/?p=9640
https://www.militant-blog.org/?p=11350
Non solo noi peraltro: contestualmente, anche Wu Ming produsse alcune analisi di valore, che reggono ancora nel tempo nonostante il costante mutamento politico imponga alcuni aggiornamenti, che valgono d’altronde pure per quei nostri articoli.
Il partito di Grillo è tutto tranne che un soggetto “settario”: rivendica anzi con orgoglio il suo essere completamente liquido, destrutturato, aperto, un soggetto contenitore interclassista e post-politico; il partito di Grillo è tutto fuorché un soggetto “ideologico” o “ideologizzato”: è, al contrario, un partito post-moderno, distante da ogni diatriba filosofica strutturale, espressione politica del “pensiero debole” in cui può essere espresso tutto e il contrario di tutto, reclamando la sua rottura col passato e rivendicando il suo tecnicismo anti-politico; il partito di Grillo è tutto tranne che “elitario”: è anzi fieramente populista, non “dirige”, “educa” o “indirizza” pezzi di popolazione, ma dice quello che la gente vuole sentirsi dire. Per essere parte del Movimento non si devono avere competenze particolari, anzi, meno se ne hanno più si è protagonisti del rinnovamento: Rocco Casalino, salito agli onori delle cronache per la sua partecipazione al Grande fratello, è un dirigente del movimento e responsabile del suo ufficio stampa, e questo, speriamo, chiude ogni discorso sul presunto elitismo.
Si può però affermare che il partito di Grillo assolva allo stesso “compito storico” del fascismo o del neofascismo. Niente di più sfocato. Il M5S cresce nel deserto della sinistra, non nel suo momento di massima forza e/o mobilitazione. E’ un soggetto che nasce dalle ceneri della rappresentanza politica del mondo del lavoro, dalle polveri dei movimenti sociali e della partecipazione politica. Non “impedisce” alcunché, colma piuttosto un vuoto. E’ un partito-movimento che raccoglie il bisogno di rottura di pezzi contrapposti della società italiana, e proprio per tale ragione è intrinsecamente e inevitabilmente populista. Non ha un soggetto sociale di riferimento, ne ha almeno due: una parte importante del mondo del lavoro dipendente salariato senza più rappresentanza politica una volta scomparso il Pci e soggetti credibili alla sua sinistra; e un pezzo rilevante di piccola borghesia impoverita dal processo di accentramento europeista determinato da un altro pezzo di borghesia, quella transnazionale globalizzata rappresentata in Italia dal Pd. La mancanza di orizzonte politico delle classi subalterne e l’impoverimento di una piccola borghesia un tempo benestante hanno prodotto una saldatura temporanea attorno al M5S. Ma siccome gli obiettivi del breve periodo e gli orizzonti di lungo periodo sono, tra questi due soggetti sociali, in contraddizione tra loro, questi trovano terreno comune esclusivamente sul piano della critica all’attuale degenerazione politica, sintetizzata nella “lotta alla casta” e nella “lotta alla corruzione”(degli altri). Per il resto, le richieste non potrebbero essere più inconciliabili: un soggetto vuole più Stato, più rappresentanza, maggiore mediazione politica, più democrazia nei posti di lavoro, più diritti sociali, più welfare; l’altro vuole meno Stato, meno tasse, meno politica, meno sindacati, meno mediazioni nel raggiungimento del suo profitto privato. Sono queste determinanti sociali a produrre il Movimento 5 Stelle, e non viceversa: non è il M5S a spostare sul piano del populismo la lotta politica, ma l’attuale panorama politico a lasciare scoperte praterie che vengono colmate da soggetti capaci di intercettare e dare rappresentanza, ancorché alienata, agli umori popolari. Il Movimento 5 Stelle è un soggetto populista di massa, che offre strumenti di rappresentanza a una platea che non sa come esprimere il proprio odio verso una classe politica, e che al momento non viene organizzata su percorsi reali di lotta per k.o. tecnico della sinistra.
Se il fascismo ci diceva paradossalmente della forza della sinistra, il Movimento 5 Stelle ci racconta oggi della sua debolezza. E’ la scomparsa della sinistra che produce Grillo, non è Grillo che impedisce alla sinistra di risorgere. Poi, ma solo secondariamente, il M5S funziona anche come “specchietto per le allodole”, sviando e rimasticando sincere istanze di lotta ricalibrandole su obiettivi feticizzati quali appunto la presunta “casta”. Ma anche qui è il prodotto di una debolezza: la nascita di un movimento di massa spazzerebbe via qualsiasi velleità del M5S di rappresentare quantomeno il mondo del lavoro. Rimarrebbe il partito del rancore proprietario piccolo-borghese, che rifluirebbe prontamente nel qualunquismo prima e nell’insignificanza dopo, perché fagocitato immediatamente dal costituendo “blocco lepenista”, articolazione italiana del Front National francese. Anche qui, bisogna operare uno sforzo di analisi.
La Lega Nord di Salvini è tutto tranne che un soggetto neofascista. E’ piuttosto un blocco reazionario di massa, che è cosa ben diversa e ben più grave. Salvini non è neofascista, e neanche fascista, sebbene la polemica politica può portare a certe riduzioni, e sicuramente può essere insultato anche dandogli del pezzente fascista, figuriamoci. Ma in ambiti di ragionamento, bisogna discernere il grano dal loglio, perché un’analisi sbagliata porta poi a elaborare soluzioni sbagliate al problema. Salvini rappresenta politicamente quel pezzo di borghesia sconfitta dall’europeismo, in fase di progressiva pauperizzazione, che però non si trasforma in “proletarizzazione”, non diventa cioè dipendente dal salario, e in questo senso è il diretto competitore con il Movimento di Grillo. E’ proprio questo scontro tra due forme di rappresentanza che impedisce al momento una crescita ben più larga e pericolosa del blocco reazionario lepenista: in assenza di Grillo e vista l’attuale mutazione genetica di Forza Italia e della destra “moderata” (qui occorrerebbero decine di virgolette: in realtà non esiste più alcuna ipotesi “centrodestra” o “centrosinistra”, quanto un unico partito liberista articolato in due ceti politici concorrenti), Salvini&co raccoglierebbero oggi cifre elettorali ben sopra il 20%, difficilissime oggi da raggiungere su scala nazionale nonostante il vuoto lasciato dal berlusconismo decadente.
Tutto questo per dire cosa? Che bisogna conoscere il nemico, cogliendone materialisticamente ruolo e funzioni nella società. Oggi il famigerato “corso della storia” di hegeliana memoria (stiamo qui parlando dell’Europa, non di altri contesti) va in direzione della progressiva snazionalizzazione della politica, non verso rigurgiti reazionari-nazionalistici. La forza dei nazionalismi xenofobi non è data da loro intrinseche qualità/capacità di raccogliere il dissenso, ma dalla scomparsa della sinistra in Europa. Senza più strumenti per esprimere la propria naturale avversione allo stato di cose presenti, i ceti popolari del continente trovano in questi soggetti una forma di rifiuto verso la politica. Non è un caso che tali partiti fondano la propria forza, almeno elettorale, sulle classi impoverite: Trump negli Usa, Salvini e Grillo in Italia, il Front National in Francia, e via dicendo, insediano temporaneamente la propria base elettorale nel mondo del lavoro, tanto dipendente quanto proprietario impoverito. Questo non significa che “i lavoratori si sono spostati a destra”, ma che i lavoratori sono orfani di una rappresentanza, di un movimento reale, di un orizzonte di senso, e colmano questo vuoto optando, in forma ovviamente alienata e reazionaria, verso chi esprime, almeno a parole e attraverso atteggiamenti muscolari, questo rifiuto. Sono partiti che “vengono usati” per esprimere un bisogno di rottura, non perchè se ne condividono i punti di vista.
E questo, col “neofascismo”, non c’entra davvero un cazzo. Perché la base sociale neofascista non esiste, e laddove avesse una qualche marginale rilevanza, sarebbe materialisticamente e ontologicamente nemica degli interessi di classe: verso il neofascismo non ci può essere allora pietà, perché non dobbiamo “recuperare” nessun pezzo di società fuggito di senno e sedotto da quelle proposte politiche; la base sociale dei fenomeni reazionari di massa di cui sopra è invece *proprio quella* che dovremmo tentare di ri-organizzare, re-intercettando i suoi umori di classe, le sue istintive nemicità, le sue forme di resistenza esplicita e implicita, il suo rifiuto dello stato di cose presenti.
Ed è qui che vanno dispiegati gli strumenti politici adeguati al recupero potenziale: perché si possono e si devono combattere i soggetti reazionari, senza però con questo favorire quel “corso della storia” ordoliberista incarnato oggi dal Pd. Ed ecco, infine, perché il Partito democratico oggi è il principale problema oggi in Italia: perché la sua affermazione non sedimenta solo l’egemonia politica di un soggetto avverso agli interessi di classe, ma anche perché lavora in funzione di un rafforzamento delle ipotesi politiche reazionarie descritte come “unica opposizione” possibile all’ordine economico vigente. Un avvitamento da cui non se ne uscirà se non scardinando la normalizzazione politica, ricostruendo le ragioni della nostra esistenza politica.