l’ignobel
di seguito riportiamo da peacereporter.net (a cui va reso il merito per la puntualissima definizione di ignobel) alcuni stralci del discorso di Obama durante la cerimonia di consegna del Nobel della Pace. Ancora una volta: senza parole.
“Sono il comandante in capo di una nazione coinvolta in due guerre. Una di queste sta scemando. L’altra è un conflitto che l’America non si è cercata, una guerra alla quale si sono unite altre 43 nazioni nello sforzo di difendere noi stessi e tutte le nazioni da ulteriori attacchi. Siamo in guerra e io sono responsabile dell’invio di migliaia di giovani americani a combattere in terre lontane. Alcuni di loro uccideranno. Alcuni verranno uccisi. Quindi io vengo qui con la profonda coscienza del costo di un conflitto armato, carico di domande difficili sulla relazione tra guerra e pace e sul nostro sforzo di sostituire l’una con l’altra. Non è un questione nuova. La guerra, in un modo o nell’altro, è apparsa con il primo uomo. All’alba della storia la sua moralità non veniva messa in dubbio, era semplicemente un fatto, come la siccità e le malattie, lo strumento con cui tribù e poi civiltà diverse cercavano il potere e la soluzione dei problemi. Nel tempo, i codici di legge hanno cercato di controllare la violenza all’interno dei gruppi, anche filosofi, preti e statisti hanno cercato di regolamentare il potere distruttivo della guerra. E’ emerso il concetto di ‘guerra giusta’, cioè di una guerra giustificata solo quando rispetta certe precondizione: se è combattuta come ultima soluzione o per autodifesa, se la forza utilizzata è proporzionata e se, dove possibile, i civili sono risparmiati dalla violenza. Ma nel corso della storia il concetto di guerra giusta è stato rispettato raramente. (…) Dobbiamo pensare in nuovi modi la nozione di guerra giusta e l’imperativo di una pace giusta. Dobbiamo partire dal comprendere la dura verità che noi non sradicheremo i conflitti violenti nell’arco delle nostre vite. Ci saranno momenti in cui le nazioni troveranno l’uso della forza non solo necessario, ma moralmente giustificato. Dico queste cose con in mente quello che Martin Luther King disse anni fa in questa stessa cerimonia: “La violenza non porta mai alla pace, non risolve problemi sociali, ne crea solo di nuovi e più complicati”. In quanto uno che è arrivato qui come conseguenza diretta lavoro della vita del dottor King, sono un testimonianza vivente della forza morale della non violenza: so che non c’è nulla di debole, di passivo di naif nel pensiero e nelle vite di personaggi come Ghandi e King. Ma come capo di Stato investito del dovere di proteggere e difendere la mia nazione, non posso essere guidato solo dai loro esempi. Io affronto il mondo così com’è. Non posso stare inerte di fronte alle minacce contro il popolo americano. Non ci sbagliamo: il male esiste nel mondo. Un movimento non violento non avrebbe potuto fermare le armate di Hitler. Il negoziato non può convincere i leader di Al Qaeda a deporre le loro armi. Affermare che la forza è a volte necessaria non è un invito al cinismo: e il riconoscimento della storia, dell’imperfezione umana e dei limiti della ragione. (…) Gli Stati Uniti d’America hanno difeso la sicurezza globale per più di sei decadi con il sangue dei nostri cittadini e la forza delle nostre armi. Il servizio e il sacrificio dei nostri uomini e donne in uniforme ha promosso la pace e la prosperità dalla Germania alla Corea, e permesso al democrazia in luoghi come i Balcani. Abbiamo sostenuto questo fardello non perché vogliamo imporre la nostra volontà o difendere il nostro interesse, bensì perché vogliamo un futuro migliore per i nostri figli e nipoti, perché crediamo che le loro vite saranno migliori se i figli e i nipoti di altri popoli possono vivere in libertà e prosperità. Quindi, sì: gli strumenti di guerra giocano un ruolo nel preservare la pace. (…) La guerra a volte è necessaria, è in qualche modo espressione dei sentimenti umani. (…) Il mondo si è stretto attorno all’America dopo gli attacchi dell’11 Settembre e continua a sostenere i nostri sforzi in Afghanistan per l’orrore di quegli insensati attacchi e per il riconosciuto principio di autodifesa (…) Penso che l’uso della forza possa essere giustificato su basi umanitarie, come è stato nei Balcani o in altri luoghi feriti dalla guerra. L’inazione lacera le nostre coscienze e può portare a più costosi interventi in un secondo momento. Questo è il motivo per cui tute le nazioni responsabili devono sostenere il ruolo che i militari, con un chiaro mandato, svolgono per mantenere la pace. (…) Capisco perché la guerra è impopolare, ma so anche questo: desiderare la pace non basta per conseguirla. La pace richiede responsabilità. La pace implica sacrificio. (…) Noi onoriamo quelli che tornano dalle missioni militari non come portatori di guerra, ma come portatori di pace. (…) Dove la forza è necessaria, abbiamo un interesse morale e strategico nel rispettare certe regole di condotta. Anche se combattiamo contro un avversario cinico che non osserva regole, credo che gli Stati Uniti d’America debbano continuare ad essere un modello nella condotta della guerra. Questo è quello che ci differenzia da colo che combattiamo. Questa è la fonte della nostra forza. (…)”.