I fatti di Piazza dello Statuto

I fatti di Piazza dello Statuto

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Continuiamo a ripercorrere le tappe principali del movimento comunista italiano e internazionale.

Piazza dello Statuto rappresenta senza ombra di dubbio l’avvenimento centrale degli anni sessanta per quanto riguarda il movimento dell’autonomia operaia in Italia, che in quelle giornate del Luglio 1962 vede la sua nascita e prepara il terreno all’autunno caldo del 1969.

Succede, in quelle calde giornate di Luglio, un fatto nuovo, rivoluzionario per la scena politica italiana. Innanzitutto emerge una nuova figura sociale, quella dell’operaio massa. Non più l’operaio specializzato della catena fordista, l’operaio insostituibile, qualificato, cosciente e politicizzato. L’operaio comunista in senso stretto. Viene alla luce in quelle giornate, e più in generale in quegli anni, una nuova figura sociale: quella dell’operaio inqualificato, giovane, prevalentemente emigrato dal sud Italia, con scarsissime conoscenze di base e con una ridottissima cultura, che in genere si ferma alle scuole elementari; un soggetto ad alta produttività e bassa conflittualità.Una figura sociale assolutamente rimpiazzabile, quindi molto più ricattabile. Non politicizzata né cosciente della propria situazione sociale. Insomma, le fabbriche del nord vengono inondate, dalla metà degli anni 50 da una massa di emigranti meridionali privi di ogni riferimento politico e sociale, bisognosi solo di lavoro e per questo disposti a sopportare qualsiasi condizione di vita. Ma andiamo con ordine.

L’estate del 62 è periodo di rinnovi contrattuali a Torino. Più in particolare, ad attendere il rinnovo è il contratto degli operai della FIAT. Le trattative vanno avanti dalla primavera, e in un crescendo di scioperi si arriva così al Giugno. Proprio in questo mese, alcune sigle sindacali, e soprattutto la UIL, decidono di rompere l’unità sindacale e firmano con l’azienda un contratto separato. E’ la goccia che farà trabboccare il vaso. Un ondata di scioperi invade il capoluogo piemontese. Le avanguardie di fabbrica decidono di non ascoltare più i sindacati di riferimento, soprattutto la CGIL, e indicono scioperi in continuazione; scioperi che vedono la partecipazione di quasi tutti i lavoratori della FIAT. Fra tutte le fabbriche di Torino, ormai gli operai in lotta sono più di 250.000, una marea che esplode nelle strade della città. La firma separata della UIL e il morbido atteggiamento delle altre sigle sindacali faranno il resto. L’ondata di scioperi vedrà il suo culmine nelle giornate del 7, 8 e 9 Luglio 1962. Si determina in questo periodo la prima e più grande ondata di scioperi operai dopo la resistenza, ma il fatto nuovo è un altro. Sull’esempio di ciò che successo a Genova solamente due anni prima, ormai i giovani operai non seguono più né la CGIL né tantomeno il Partito. Si produce una frattura che andrà sempre di più allargandosi nel corso degli anni. I Prodromi dell’autunno caldo vedono qua le fondamenta. Ormai gli operai non si fidano più del sindacato. Così si arriva al 7 Luglio.

Viste le premesse di collaborazione dei sindacati, le forze dell’ordine e i dirigenti della fabbrica rimangono relativamente tranquille sull’andamento dello sciopero. E invece, inaspettato, non solo lo sciopero è enorme ma sin dal pomeriggio del 7 attacca la polizia. E gli scontri andranno avanti per ben tre giorni, anche di notte. I tentativi dei sindacalisti e dei dirigenti del PCI di riportare la situazione alla calma e di far rientrare almeno gli iscritti cadono nel vuoto. Ormai la frattura si è prodotta. I giovani operai, così come i giovani con la maglietta a strisce di Genova, non ne vogliono più sapere delle dirigenze politiche e sindacali. Inizia così il movimento dell’autonomia operaia, che vedrà il suo culmine negli anni 70. I lavoratori si autorganizzano direttmente sul posto di lavoro, saltando l’intermediazione sindacale. Il soggetto sociale è cambiato, non più l’operaio qualificato ma il giovane emarginato alle prime esperienze lavorative collettive.

Tutto ciò lascia disorientati chi per anni era cresciuto ed aveva analizzato un contesto diverso. Ed infatti i primi commenti e le prime analisi leggono gli eventi come “manifestazioni di anarchismo sottoproletario”. Subito c’è la tendenza a dividere lo sciopero degli operai della fiat dagli eventi di piazza dello statuto. Ma così non era, visto che la gente era la stessa che ha scioperato e che è scesa in piazza. Le dirigenze politiche e sindacali non riescono più a capire la situazione, e nel dubbio cominciano ad insultare e a deleggittimare chiunque avesse partecipato agli scontri di Torino.L’operaio massa che sembrava ricattabile sotto ogni profilo, la pura forza lavoro finalmente trovata dal capitale, si ribellava. E l’oggetto della sua ribellione non era più soltanto il padrone, ma anche le rappresentanze politiche e sindacali che mantenevano lo stato della lotta sempre di basso profilo.

Cosa succede in quelle giornate? Succede che un soggetto sociale ancora poco compreso, guardato con un certo scetticismo dalle dirigenze politiche e sindacali, si ribella. E proprio il suo ribellarsi che lascia attoniti. Un soggetto a cui nessuno pareva riconoscere una propria autonomia politica. Un soggetto non cosciente di se, quindi poco propenso a lottare per affermare i suoi vari diritti. E’ proprio il momento della ribellione che lascia di stucco i dirigenti comunisti, non tanto la violenza sprigionata nella piazza. Ma come, si chiedono i sindacalisti…chi sono questi lavoratori che osano scioperare senza che prima non si sia espresso il proprio delegato sindacale? Sta proprio qui la frattura prodotta.

Questi eventi hanno prodotto appunto questa frattura, mai più compresa dai dirigenti dei partiti di sinistra. Questa incomprensione ha portato poi a vedere come un nemico un soggetto che invece era solamente più rivoluzionario, proprio perché non aveva più nulla da perdere e poco a poco acquisiva una propria coscienza di classe e cercava di autorganizzare la propria rabbia.