Il regime verra’ trasmesso…
Il modo con cui i media italiani hanno coperto la notizia del terremoto in Abruzzo rappresenterà probabilmente motivo di studio per un corso di Scienze della Comunicazione, o almeno questo è quello che crediamo dovrebbe accadere in un paese civile. Ovviamente la nostra è una formulazione retorica, visto che non viviamo in un paese civile e che conosciamo benissimo il ruolo di pilastro “strutturale”che i media svolgono in un sistema capitalista. Confessiamo però che, pur ritenendoci vaccinati a questo genere di cose, il clima orwelliano che si è instaurato in Italia è stato, e continua ad essere,veramente pesante per chiunque si ostina a voler ragionare autonomamente. Radio, TV e giornali, salvo qualche lodevole eccezione, hanno fin da subito costituito un coro unanime ed uniforme stigmatizzando chiunque tentasse di incrinare quel clima di unità nazionale che si è sparso, come una melassa appiccicosa, sull’intero spazio informativo. A farne le spese, per ultimi, sono stati Santoro e la redazione di Anno Zero verso cui si è alzato un fuoco incrociato di critiche da parte di politici e giornalisti “embedded” che non hanno gradito affatto le domande poste dal giornalista RAI nell’ultima puntata. Perché nonostante le scosse andassero avanti da ottobre la protezione civile non ha previsto delle esercitazioni cittadine? Perché edifici relativamente nuovi sono crollati seppellendo vive decine di persone? Perché i governi Prodi e Berlusconi hanno procrastinato l’entrata in vigore di alcune norme antisismiche? Perché nell’ultima finanziaria sono stati tagliati i fondi alla protezione civile? Perfino il critico televisivo Aldo Grasso , dalle pagine del Corriere della Sera, ha sentito il bisogno di dire la sua sulla questione attaccando Santoro (leggi) ed elogiando, per contro, Bruno vespa ed il suo Porta a Porta. Peccato, però, che lo stesso difensore della “buona” informazione non abbia speso una sola riga per spiegare come mai da giorni il quotidiano su cui scrive eviti accuratamente di informare i suoi lettori su chi abbia costruito l’ospedale de L’Aquila, ovvero la Impregilo Spa. Azienda, guarda caso, strettamente collegata alla RCS, proprietaria del Corsera. Nell’ipotetico paese civile di cui abbiamo parlato sopra i giornalisti seri avrebbero denunciato il triste spettacolo dei politici corsi a “fare passerella” sul luogo del disastro solo per motivi elettoralistici. Avrebbero ironizzato sul presidente del consiglio che indossa a favore di fotografi e telecamere l’elmetto da pompiere dispensando baci ai terremotati. Avrebbero sottolineato come il disastro sia stato prodotto da anni di saccheggio del territorio permesso e promosso proprio da quella classe politica che oggi invoca l’unità nazionale. E’ invece ci siamo dovuti sorbire ore e ore di TV del dolore a reti unificate: telecamere invadenti alla spasmodica ricerca del primo piano strappa lacrime da piazzare in prima serata, giornalisti che intervengono col caschetto di sicurezza anche quando non ce n’è chiaramente bisogno, inviati spediti a rompere i coglioni nelle tende o che bussano ai vetri delle auto per chiedere ad assonnati terremotati cosa li spinga a dormire in macchina. Un’overdose di ipocrisia buonista interessata esclusivamente alla torta pubblicitaria legata ai picchi d’audience assicurati dalla tragedia. Del resto nell’era di quello che qualcuno ha definito capitalismo semiotico si è da tempo operato un rovesciamento mediatico i cui effetti non sono certo di poco conto. Un programma televisivo non viene affatto prodotto per essere venduto al pubblico bensì è prodotto per vendere alle aziende pubblicitarie il pubblico stesso. Così il pubblico, da soggetto (per quanto passivo) del processo di compravendita, diviene definitivamente il suo oggetto, chi compra (o meglio, chi deve comprare) diviene così ciò che si compra, e che viene in effetti venduto agli inserzionisti pubblicitari da parte dei produttori televisivi; infatti è appunto la presenza di una tale merce, il pubblico, che determina sulla base delle percentuali di ascolti il valore degli spazi pubblicitari che finanziano i programmi e consentono gli enormi profitti dei possessori di reti televisive. (Raul Mordenti, Gramsci e la rivoluzione necessaria, Editori Riuniti).