ADDIO RIFONDAZIONE

ADDIO RIFONDAZIONE

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Che la sinistra italiana stia vivendo un periodo di estrema crisi è cosa nota. Senza più  una rappresentanza parlamentare (men che meno sociale), non più in grado di organizzare lotte nei territori e fra i vari strati sociali, i vari partitini di sinistra stanno osservando inermi la loro lenta dissoluzione. Un caso particolare è quello di Rifondazione Comunista, partito che aveva raccolto alla sua nascita grandi speranze di rifondazione, appunto, della sinistra in Italia. Un partito che, con tutti i suoi limiti, era riuscito a rappresentare per molti anni, almeno fino al 1999, un vasto strato di quello che era definito il popolo della sinistra. E, al di là dei vertici, contava in una forte base sociale, militante e comunista. Era comunque sia l’unico partito di un certo peso in Italia a leggere ancora le dinamiche sociali in un ottica di classe. L’analisi che faceva della società era ancora basata sul pensiero Marxiano. Dopodichè, le politiche che metteva in atto, le proposte concrete, il più delle volte si contraddicevano con questa impostazione, per cui risultava alla fin fine un solido partito di sinistra ma post-comunista.

Il problema è che, nel giro di pochissimi anni, ha gettato letteralmente al vento questa esperienza, per cercare di raggiungere con le sue proposte politiche tutti gli strati sociali. E’ cercato di diventare, senza poterlo mai essere vista la concorrenza, un classico partito pigliatutto. Un partito che ha cercato di parlare al popolo, agli elettori, di qualsiasi estrazione sociale, espandendo le sue politiche e abbandonando l’analisi della società e i suoi punti di riferimento precedenti per un puri calcoli elettorali. Tutto questo, come vediamo, non ha pagato. I suoi riferimenti sociali l’hanno abbandonata, e per di più senza raccogliere nulla dell’elettorato moderato, che veniva spartito fra Centrosinistra e Centrodestra.

Il problema è che questa degenerazione sta assumendo contorni grotteschi. Ai limiti del surreale, se non fosse comunque grave la maniera in cui è stato svenduto un patrimonio di militanza, iniziativa politica, dentro e fuori dal palazzo.

Nichi Vendola, esponente di punta dell’area Bertinottiana, prossimo alla scissione che ucciderà definitivamente il partito (speriamo, a questo punto), pochi giorni fa ha rilasciato una intervista che, fra le varie amenità, ne riportava una in particolar modo, sintomo e prova di tutto quello che stiamo dicendo. La riportiamo integralmente:

un partito che considera esagerato riflettere sui diritti dei trans e preferirebbe interrogarsi sulle ragioni del crollo del Muro di Berlino, come dire? non è già più un partito, ma una casa piena di spettri”.

Risulta anche superfluo commentare questa affermazione, che racchiude davvero tutta la desolante povertà di idee politiche che ha Rifondazione.

In due righe, Vendola spiega meglio di mille parole la crisi di Rifondazione. Un partito che si è ancorato alle battaglie per i diritti dei trans, ma più in generale ai diritti civili, senza avere più una qualche minima idea di come ragionare sul proprio passato e sul perché quel passato è finito in quel modo, non capiamo come si possa definire ancora comunista. Un partito che fa dei diritti civili borghesi  la base della sua linea politica, rinunciando ad una analisi di classe dei rapporti sociali, ad un discorso che parta dal lavoro per tornare ad esso. Insomma, una volta si sarebbe detto che la società si divide in struttura e sovrastruttura, e Rifondazione ormai pensa solo alla seconda, e non più sulle fondamenta della società, e cioè sui rapporti di produzione. Questo è il risultato di aver abbandonato Marx, sostituito con Vladimir Luxuria. Non capiamo perché però, se elettoralmente neanche paga, insistere su questa strada di cui già si intravede l’orizzonte, e cioè la fine ingloriosa del partito.

Per quanto ci riguarda, aspetteremo come i cinesi sulla riva del fiume  che il cadavere di Rifondazione passi, senza neanche lasciare traccia.