fermiamoli
Nella quasi totale indifferenza estiva, fatta eccezione per qualche timida reazione della CGIL, sono state rese note le linee guida dell’ennesima (contro) riforma previdenziale. Dal 2015, secondo i disegni di quella manica di parassiti che occupa gli scranni parlamentari, l’età pensionabile verrà automaticamente adeguata all’innalzamento della vita media degli italiani. Tradotto: ogni volta che l’ISTAT segnalerà un allungamento dell’aspettativa di vita verrà spostata più in alto l’asticella per poter andare in pensione. Il primo scatto non potrà superare i tre mesi, mentre per gli adeguamenti successivi non vi saranno limiti di sorta. Così dopo aver eliminato la “scala mobile” per i salari lorsignori ce la ripropongono, ribaltata di senso, per le nostre vite. Ce li immaginiamo, seduti intorno ad un tavolo e tabelle alla mano, maledire il fatto che i lavoratori vivano troppo. E già, perchè è proprio questo il senso di questa (contro) riforma. Bisogna accorciare al massimo il periodo di vita in cui un lavoratore o una lavoratrice si gode la sua meritata pensione. E poco importa se quel diritto uno se l’è sudato lavorando una vita intera, poco inporta se la pensione non è altro che salario differito nel tempo, poco importa se insieme all’aumento di produttività è cresciuto anche il plusvalore estratto da ogni lavoratore. Quello che conta è comprimere il costo del lavoro, quello che conta è far pagare a noi la loro crisi. Non a caso questo provvedimento infame viaggi insieme allo scudo fiscale, ovvero alla possibilità di far rientrare dall’estero i capitali accumulati grazie all’evasione fiscale. E che nessuno ci venga a raccontare che non esiste più la lotta di classe. Esiste eccome, il problema è che la fanno solo loro.