Esiste ancora un movimento no-global? parte 1
Raccogliamo volentieri lo spunto ideale ad un dibattito su come si è trasformato e cosa ne è del movimento anti-globalizzazione, portato avanti con vigore dal sito global-project. In particolare, facciamo riferimento all’articolo di Antonio Musella apparso pochi giorni fa proprio sul sito, articolo che ha il merito quantomeno di avviare anche in rete un dibattito sul movimento che ormai compie dieci anni.
L’articolo prende spunto dalle giornate di contestazione al G8 e in particolare dalla giornata conclusiva del controvertice, cioè il corteo aquilano del 10 Luglio. Un articolo assolutamente critico nei confronti del corteo stesso e con gli organizzatori, in particolare verso i sindacati di base, traendone poi la conclusione che il movimento no-global, così come lo avevamo conosciuto e animato da dieci anni a questa parte, si sia spento o, nel migliore dei casi, sia un residuo politico che non ha più senso di rimanere in vita.
Ottimo spunto, al quale vogliamo dare un contributo anche noi, nel nostro piccolo, se non altro perché di quel movimento ne abbiamo fatto parte praticamente fin dall’inizio, con molti del nostro collettivo coinvolti nelle contestazioni ai vertici internazionali da Praga a Nizza, da Napoli a Genova, in quel formidabile percorso che dal ’99 porto alle giornate di Genova (e oltre).
Partiamo dall’inizio, dallo spunto critico: esiste ancora un movimento no-global come lo abbiamo inteso in questi anni? No. Secondo noi, e non bisognava certo aspettare la giornata dell’Aquila, l’attacco al G8 e l’organizzazione dei controvertici non ha più un senso politico e soprattutto sociale. Non solo, ed è la parte meno rilevante, il G8 stesso come organizzazione ha perso molto di quel rilievo internazionale soprattutto simbolico che possedeva fino a pochi anni fa. Ma soprattutto, attorno a quella dinamica di contestazione dei capi di Stato, la politica, il movimento, non ha più nessun potere di aggregare alcunché oltre appunto ai soliti militanti politici. E su questo concordiamo perfettamente con l’area di Global-project, e ribadiamo che non servivano certo la giornata dell’Aquila e le giornate romane per confermarlo. Di più, il senso si era già capito dai vari vertici tenutisi in giro per l’Europa e contestati ormai dai soliti black-block, oltretutto in notevole ripiego numerico anch’essi. Per farla breve, sembra la solita e stanca ripetizione, finta, di quello che successe a Genova ormai 8 anni fa, senza quello straordinario percorso di partecipazione e di mobilitazione che ne costruì le premesse. Un conto è far convergere tutte le nostre lotte sociali in giornate simbolo, con percorsi di mesi se non di anni in cui coinvolgere cittadinanze e opposizioni varie al neoliberismo e renderle attive e visibili nelle giornate stesse, un altro è evidentemente costruire “in laboratorio” un controvertice slegato dalla realtà, senza nessuna forma di radicamento quantomeno emotivo con qualche strato sociale di riferimento. Nulla di questo è avvenuto nelle giornate di Roma, come negli anni scorsi in giro per l’Europa.
Questo, secondo noi, è il punto da cui partire. Capire che il movimento no-global quantomeno deve cambiare radicalmente il proprio modo d’essere. L’organizzazione dei controvertici è definitivamente fallita, è la prova ne è stata Piazza Barberini, non tanto l’Aquila. Nella piazza comune del movimento romano si è vista tutta la mancanza di radicamento e di prospettive di tale movimento. Non del movimento in generale, ma del movimento anti-globalizzazione. Una piazza vuota, senza adesioni se non le poche sigle politiche di varia natura, scarsa di contenuti e di progettualità, nonché di unità.
Detto ciò, di chi è la colpa?Qui invece, su alcune affermazioni dissentiamo fortemente dall’analisi di Antonio Musella. Partiamo da un presupposto: è un dato di fatto assolutamente innegabile che il movimento, senza dare alcun’altra definizione, il movimento in generale nella sua concezione più ampia, in cui si ritrovano i centri sociali, i partiti, l’associazionismo di base, i sindacati, le singole individualità, è in crisi. Una crisi profonda. Negare o mascherare questo fatto non è possibile. Certo, nel frattempo sono sorte nuovi tipi di lotte, nuovi spunti sui quali ragionare, nuove possibilità certamente feconde; ma l’importante è capirsi, non girare intorno alla questione. Il movimento no-global non ha più senso perché il movimento in generale, nel 2009 e già da alcuni anni, vive una crisi di partecipazione e di progettualità politica non indifferente. Una crisi che investe tutta la politica, che non ha più nessun potere di controllo e gestione della cosa pubblica, totalmente privatizzata e globalizzata. E’ il frutto avvelenato della globalizzazione, in cui gli Stati nazionali e di conseguenza la politica interna perdono potere nei confronti dei grandi agglomerati economici sovranazionali.
Dunque, una crisi profonda dal quale tentare di uscire. Come se ne esce, alla luce di queste giornate di controvertice, che hanno avuto il merito se non altro di rendere palesi tali difficoltà? Musella sembra scaricare le colpe di tutto ciò ai soliti partitini comunisti e ai vari sindacati di base. Insomma il solito scarica barile di responsabilità da un soggetto ad un altro.
Bene, chi ci legge sa benissimo quali e quante sono state le nostre critiche verso ogni forma di micro partito autoreferenziale che anima la politichetta italiana ormai da molti anni. Però, se c’è un fatto che è palese, è che le giornate del controvertice, e in particolare l’Aquila quale evento clou, sono un fallimento del movimento e non dei partitini comunisti, che semmai si accodano come sempre ad ogni manifestazione di questo tipo. E’ il movimento che ha costruito le giornate romane, ed è sempre parte del movimento che ha costruito la giornata aquilana. Anche perché, se è vero che la manifestazione è stata indetta dai sindacati, non si possono considerare tali sindacati di movimento quando stanno in mezzo a noi, e burocrazie politiche quando fanno cose che non ci piacciono. Parte del movimento e parte dei sindacati hanno organizzato il controvertice fallimentare, e tutti noi dobbiamo capirne gli errori, senza scaricare le colpe di fallimenti politici al soggetto politico debole di turno. E’ una responsabilità che va assunta e rivendicata. Sennò si abbia il coraggio di non dialogare più coi sindacati di base un giorno si e un altro no, caricandoli e scaricandoli dal baraccone politico solamente per opportunismo. Detto ciò poi, bisogna vedere chi ci parla, coi lavoratori, una volta sfanculati i sindacati. Rimane la CGIL; dalla padella alla brace insomma. E si perché, messo anche il caso che il movimento si inserisce nelle lotte territoriali, nei luoghi di lavoro rimane unicamente il sindacato a dare voce (poco e male) alle lotte dei lavoratori. Non certo il movimento.
Dunque, ripartiamo da noi, capiamo i nostri sbagli, senza trovare sempre e per forza all’infuori di noi il problema che ci lega, che ci imbavaglia sempre pronti a spiccare il volo. Tralaltro, questo sia detto per inciso, il tracollo della sinistra parlamentare e il lento decadimento dei sindacati, confederali o di base, non sta certo favorendo il movimento o le lotte sociali. Insomma, se i vari partitelli sono inutili, lasciamoli alla loro inutilità, ma non scarichiamo colpe che in questo contesto storico non hanno perché non possono avere, non avendone la forza.