I fatti del Luglio 1960
Con questo articolo iniziamo una serie di riflessioni su avvenimenti importanti del movimento comunista italiano e internazionale. Molte di queste riflessioni le troverete anche nel giornalino del collettivo scolastico “Senza Tregua”, che uscirà a Gennaio in tutte le scuole.
Giugno 1960.
L’Italia è nel pieno del “miracolo economico”; si esce dai durissimi anni della ricostruzione guardando al futuro con maggiore ottimismo: la congiuntura economica internazionale è favorevole, la nascita del Mercato Comune Europeo costringe l’Italia a superare, in ambito produttivo, il protezionismo che ne aveva limitato lo sviluppo economico negli anni precedenti.
Ammodernamento dell’apparato di produzione, dunque, e forte competitività sul piano internazionale grazie al bassissimo costo del lavoro, determinato da un forte tasso di disoccupazione, particolarmente elevato nel Mezzogiorno.
L’Italia è un motore a due tempi: l’economia corre al Nord, le città si sviluppano voracemente inghiottendo le campagne circostanti, mentre il sud paga l’incapacità storica, da parte delle classi dirigenti, di risolvere strutturalmente la questione meridionale.
Anche sul versante politico il paese è diviso; la Democrazia Cristiana è il solo possibile fulcro di governo, ma è costretta a contare su alleanze fragili, sulle quali pesa, di volta in volta, la composizione dei rapporti di forza interni alla Balena Bianca, segnata da violentissimi scontri al proprio interno tra fanfaniani, morotei e dorotei.
Continua a pesare (siamo in piena Guerra Fredda) la conventio ad excludendum nei confronti del PCI, ma il veto della Chiesa e di importanti settori dell’industria si estende anche ai socialisti, con i quali pure Amintore Fanfani tenta di aprire un dialogo finalizzato all’inserimento del PSI nell’area di governo.
E’ un progetto che sfuma, appunto, per una serie di veti incrociati; il più eclatante, del quale si verrà a sapere molto più tardi in occasione del cosiddetto scandalo SIFAR, è la schedatura dello stesso Fanfani da parte di Antonio Segni, primo ministro e leader della destra DC, nel 1959.
La sconfitta politica di Fanfani si concretizza nell’assegnazione, da parte del Presidente della Repubblica Gronchi, del mandato di governo all’avvocato Fernando Tambroni.
Questi, figura di secondo piano nelle gerarchie democristiane, è l’uomo ideale per sondare il terreno di una forzatura politica in senso conservatore: all’opzione dell’apertura ai socialisti viene preferito, su duplice pressione della Casa Bianca e del Vaticano, il tentativo di legittimazione del MSI, fino ad allora escluso dall’arco costituzionale perché considerato a tutti gli effetti il diretto erede del PNF.
Si tenga presente, inoltre, che in quel momento la guida del MSI è nelle mani di Arturo Michelini, uomo d’affari privo di legami diretti con il passato regime; Michelini è il tipico “fascista in doppiopetto”, autoproclamatosi fautore del traghettamento della Fiamma verso alleanze di governo con tutti coloro i quali si rendano ad esse disponibili.
Il momento pare essere propizio: il 10 Aprile Tambroni ottiene la fiducia grazie al voto favorevole di missini e monarchici; le polemiche che immediatamente seguono, anche all’interno della stessa DC, sembrano frenare lo stesso neo-Presidente del Consiglio, il quale rimette il suo mandato a Gronchi; quest’ultimo, tuttavia, ne respinge le dimissioni, determinando lo sdoganamento di tale operazione anche da parte del vertice assoluto dello Stato.
Poche settimane dopo (il 14 Maggio), il MSI tenta di uscire definitivamente dall’angolo annunciando che il suo successivo congresso si terrà a Genova, città simbolo della resistenza e della lotta partigiana. Parteciperà al congresso, in quanto “presidente onorario”, anche l’ex prefetto di Genova, il repubblichino Carlo Emanuele Basile, responsabile della deportazione di centinaia di operai genovesi.
L’onta è troppo grave: la città medaglia d’oro della Resistenza decide di rispondere; lo farà da par suo, attraverso una mobilitazione collettiva che coinvolgerà un ampio ventaglio di forze democratiche ed antifasciste, tra le quali un ruolo particolarmente significativo viene assunto dall’ANPI, dalla CGIL, dalla Camera del Lavoro, dal PCI e da vasti settori del mondo della cultura genovese.
La prima manifestazione di massa ha luogo il 28 Giugno e si conclude con un emozionato intervento del futuro Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, il quale invoca il rispetto della norma costituzionale che vieta la ricostruzione del partito fascista, definendo l’attività dei missini come “una continua e perseguibile apologia di reato”. Il duro intervento di Pertini termina con un monito: “…la ricostituita unità delle forze della Resistenza…costituisce la più valida diga contro le forze della reazione, contro ogni avventura fascista…questo…preciso dovere…lo compiremo fino in fondo, costi quello che costi.”.
E’ un intervento duro, che molti, specie tra i più giovani, percepiscono tuttavia come quello di un “pompiere”; ma il clima è troppo teso perché basti un sia pur altissimo discorso sulla retorica dell’antifascismo a placare gli animi.
In occasione del 30 Giugno, la Camera del Lavoro e la CGIL proclamano sciopero generale; si scende in piazza ufficialmente a mani vuote, ma gli ex partigiani organizzati dall’ANPI mostrano, al proprio passaggio, moschetti e mitra rispolverati per l’occasione a 15 anni di distanza dalla vittoria sui fascisti.
E’ una vera e propria dimostrazione di forza; insieme ai partigiani comunisti sfilano i ragazzi con le magliette a strisce, troppo giovani per aver preso parte alla guerra partigiana, che impugnano sassi e bastoni; i portuali, dal canto loro, stringono tra le mani i famigerati “ganci” da lavoro.
Il corteo defluisce regolarmente fino a Piazza De Ferrari, dove alcuni manifestanti lanciano insulti ed oggetti contundenti all’indirizzo della celere; è il pretesto per una carica violentissima, il cui impatto viene tuttavia retto adeguatamente, grazie al mix tra la preparazione “militare” dei più anziani e la rabbia troppo lungamente repressa dei più giovani, insoddisfatti del moderatismo dei dirigenti comunisti ed ora pronti a scaricare nella piazza le proprie pulsioni rivoluzionarie.
La controcarica del corteo è un impeto irresistibile; i poliziotti vengono cacciati nei vicoli, dai quali spesso escono con la testa rotta, anche a causa dei vasi scagliati contro i celerini dagli abitanti dei “caruggi”, solidali con i manifestanti. La polizia è impreparata alla virulenza di questa marea montante ed è costretta alla ritirata: Piazza De Ferrari si colora del rosso delle bandiere comuniste. S’innalzano barricate, gli scontri proseguono in un vero e proprio clima di guerriglia urbana fino a tarda serata. Nel frattempo, la Camera del Lavoro proclama un nuovo sciopero generale per il 2 Luglio, la data d’inizio del congresso missino.
Inizia la prova di forza tra lo Stato e le forze della Resistenza: la rivolta dilaga in tutto il paese. Rivive nei meno giovani il ricordo delle giornate di straordinaria mobilitazione in seguito all’attentato subito da Togliatti, nel 1948. I missini giunti a Genova per il congresso sono costretti ad asserragliarsi negli alberghi e saranno sottratti alla rabbia popolare solo grazie all’intervento della polizia, che li trasporta fuori dalla città in tutta fretta.
E’ la resa per l’MSI e per Michelini: il congresso non si terrà a Genova, i fascisti sono scappati e la Resistenza ha vinto ancora, Genova ha vinto ancora.
La rabbia si trasforma in entusiasmo: nonostante la revoca dello sciopero le fabbriche ed i cantieri restano deserti.
Il tentativo di svolta reazionaria ed autoritaria è stato fermato sul nascere dalla mobilitazione popolare; seguiranno le tremende giornate di Reggio Emilia e di Licata, Palermo e Catania e le violentissime cariche poliziesche di Porta San Paolo, a Roma. Ancora un drammatico tributo di sangue dovranno pagare gli operai ed i comunisti; è questo l’amaro calice da bere per far sì che i fascisti tornino nelle fogne.
Sembra l’inizio di una stagione nuova: Tambroni è costretto alla resa (morirà d’infarto tre anni più tardi); nasce il governo Fanfani, che apre ai socialisti, inaugurando la stagione del centrosinistra.
Tuttavia, ogni aspettativa andrà delusa: alle mancate riforme di struttura la classe operaia risponderà con nuove stagioni di mobilitazione, preparando il biennio rosso ‘68/69.
Ma questa è un’altra storia…