ZingAter. Fenomenologia di una presa per il culo
Non sono poi così lontani i tempi in cui il segretario del PD elargiva promesse tra le mani degli abitanti di Casal Bruciato, accorsi incuriositi dall’apertura in zona della sezione di un partito di cui prima lì si era solo sentito parlare attraverso i media o i racconti di coloro che si erano spinti oltre il confine della periferia romana. Praticamente una creatura mitologica. Quel giorno, il neoeletto Zingaretti, in un momento di pathos estremo, giurava che mai, mai più il Partito Democratico avrebbe abbandonato quelle strade e quella gente, e che da allora si sarebbe per loro battuto come mai prima del pessimo risultato elettorale; pochi giorni prima, uno sfrontato Orfini si presentava, venendo prontamente contestato dalla piazza tanto da necessitare della tutela di un ingente cordone di agenti delle Forze dell’Ordine, all’appuntamento indetto dalle realtà di zona per contrastare lo sciacallaggio mediatico che Casapound stava ponendo in atto, proprio in quel quartiere, sulla pelle dell’ormai nota famiglia rom e di quanti (fortunatamente non molti), esasperati dalle condizioni sociali e di vita sempre più precarie e disagevoli, su di essi avevano intenzione di sfogar la propria rabbia. Nessuno voleva lasciar sole le periferie e tutti volevano lottare al fianco delle classi più emarginate della società, per condizioni abitative più pronte ed adeguate.
A fronte di ciò apparirà dunque inverosimile che oggi non ci si troverà dinanzi ad alcuna levata di scudi contro l’operazione che Ater e Regione Lazio (a guida, ormai da due mandati, dell’illibato e genuino Zingaretti) stanno mettendo in essere per svendere a buon mercato il patrimonio immobiliare di proprietà della prima di queste. Ma facciamo un passo indietro.
La conformazione del territorio e del tessuto cittadino è sottoposto ormai da decenni ad un processo gentrificatorio attraverso il quale (spiegando in modo anche forse troppo agevole) il centro cittadino, sempre più trasformato in un’abbellita vetrina di pregio ad esclusivo appannaggio dei ceti abbienti e proprietari nonchè del redditizio turismo di massa, si estende a macchia d’olio fino alle cosiddette “vecchie periferie” scacciandovi gli storici residenti, impossibilitati a sostenere un tenore di vita adeguato, verso più o meno nuove periferie. Territori, questi ultimi, che versano in una situazione di degrado ormai atavico (per quanto il partito di Repubblica se ne sia reso conto solo ultimamente, al palese fine di screditare la giunta Raggi, sicuramente non esonerata da colpe ma che ha succeduto ad una lunga stagione di governi cittadini a guida PD), privi di ogni forma di welfare e servizi, abbandonati al disagio, alla disoccupazione e, ça va sans dire, alla criminalità. Man mano che la città si ampliava, man mano che spuntavano come funghi sempre più zone destinate alla movida o al turistificazione, man mano che (molto lentamente) anche i servizi presenti accrescevano, così lievitavano i costi d’affitto, così si diradavano i piccoli esercizi commerciali, così gli storici abitanti abbandonavano i loro quartieri verso altri più accessibili alla loro portata.
Vi domandarete dunque cosa ci stupisce della prosecuzione, sempre a passo più spedito, di un processo ormai in atto a livello globale nelle metropoli così come nelle piccole città.
Ebbene, ci stupisce che, non ad avallare, bensì a promuovere questo processo sia oggi l’Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale, ente la cui primaria e superiore finalità dovrebbe essere l’inclusione abitativa dei nuclei in condizioni economico-sociali più sfavorevoli, ma che pare, purtroppo non solo ultimamente, aver abdicato la propria missione in vista del proprio risanamento economico; al di là di assegnazioni ERP definibili quantomeno “curiose” e “ad orologeria”, di arbitrarie intimazioni di sfratto e pretese di pagamento di elevatissime somme di denaro nei confronti degli occupanti ed inquilini delle case in questione, oggi l’ATER e la Regione Lazio hanno voluto puntare molto più in alto e prendere una chiarissima posizione politica in merito. Una posizione politica che, senza alcuna remora, definiamo a dir poco classista, al di là del fatto che l’operazione riesca effettivamente o meno.
In uno dei paesi con la più bassa percentuale di alloggi popolari, la maggiorparte dei quali privi di ogni forma di manutenzione e circondati da quartieri dormitorio in cui i servizi sono carenti, si decide che gli alloggi ATER ubicati in zone che, ad oggi, sono definite “di pregio” devono essere venduti, ai loro legittimi assegnatari se in possibilità di acquistare a prezzi calmierati o, in alternativa, al miglior offerente, trasferendoli in zone più periferiche; per immobili “di pregio” non si intendono, badiamo bene, attici con vista Colosseo o appartamenti a due passi dal centro storico, bensì immobili situati in zone in cui, ad oggi, a differenza di alcuni anni fa, sono presenti maggiori servizi, dove i prezzi d’affitto sono aumentati, dove è cambiato il tessuto sociale che le abita. Insomma, dove un nucleo avente diritto ad un alloggio popolare (quindi generalmente in condizioni economico-sociali di forte disagio) è di troppo, stona ed è in contrasto con il nuovo assetto che il suo quartiere sta assumendo. Chi versa in certe condizioni sicuramente non potrà ambire ad avere una stazione metro, un’arteria stradale strategica, una scuola o un’università, un posto di lavoro facilmente accessibile vicino casa (o a meno di un ora di distanza). Altrimenti poi si convince di aver diritto ad una qualità della vita migliore. Sarà dunque meglio svendere al miglior offerente l’alloggio (perchè, sia chiaro, seppur viga il diritto di prelazione, è ovvio che chi campa di lavori precari e vive in un alloggio popolare quasi sicuramente non potrà permettersi di acquistare quella che è stata fino ad allora la propria casa a prezzi leggermente più bassi degli effettivi canoni di mercato) ed emarginare questi inquilini pretenziosi verso le nuove periferie, sdradicandoli dai quartieri dove hanno fino ad allora vissuto, per andare lì dove non vi è “pregio”, dove non vi è possibilità di guadagno, dove potranno amalgamarsi agli altri come loro. Si deve ristabilire il giusto livello di uguaglianza tra poveri e disuguaglianza tra questi e i ceti proprietari, spartendo la città a seconda degli interessi dei secondi ed evitando di portarsi dietro la zavorra che rappresentano i primi. I poveri si identifichino con il disagio che vivono e l’impossibilità di ambire a condizioni migliori, senza farsi illusioni e senza deturpare l’isola felice che, di certo, non spetta a loro.
Questa la politica dell’ente che mira all’inclusione sociale e abitativa. Queste sono le politiche del “nuovo” PD di Zingaretti: vicino alle periferie, sì, ma stateci ben lontani.