Buona scuola, pessima formazione

 

Da troppo tempo manca un vero dibattito sulla scuola. Alcuni di noi appartengono a quella generazione che si è formata attraverso le lotte degli studenti medi ai tempi delle grandi riforme del sistema della formazione, dalla Riforma Moratti alla Gelmini, e che ha assistito dall’esterno delle mura scolastiche alla promulgazione della legge 107/2015, passata agli onori delle cronache come “Buona Scuola”. Non ci interessa ora analizzare nel dettaglio o dare il nostro giudizio su questa legge; tanto se ne è parlato e la sua sostanza volta a irrigidire ancora di più la selezione di classe congenita al mondo della formazione appare chiara. Può essere da spunto, però, rilevare come la più liberista delle riforme degli ultimi 30 anni sia stata varata proprio da un governo di “centro-sinistra”, a rimarcare il ruolo da centravanti di sfondamento operato dal Pd nei confronti di qualsiasi forma di eguaglianza e giustizia sociale ancora presente nell’ordinamento legislativo del nostro Paese, nel nome di un’uniformità di stampo ultra-liberista con gli altri paesi dell’Unione europea.

Sarebbe interessante una riflessione sulla scarsa opposizione registrata nei confronti di un provvedimento che ha introdotto, tra le altre cose, il lavoro gratuito per gli studenti nel triennio con l’alternanza scuola-lavoro, il preside manager, cui è demandata la scelta arbitraria di quale insegnante assumere nel proprio istituto, e un criterio “meritocratico” di valutazione dei docenti per l’elargizione di bonus economici: in parole povere la definitiva aziendalizzazione della formazione e la fine della scuola di massa per come l’abbiamo conosciuta dal secondo dopoguerra ad oggi. Al di là di alcune discrete mobilitazioni il provvedimento è passato e l’interesse dell’opinione pubblica verso la scuola è gradualmente scemato, salvo poi riemergere ciclicamente collateralmente ad atti di bullismo o a video che ritraggono professori in balìa dei propri studenti. E puntualmente ecco gli opinionisti salire in cattedra a millantare soluzioni più o meno grottesche da mettere in atto per salvare un’istituzione che appare allo sbando, ecco i vari Galli della Loggia e Giovanni Floris avanzare proposte di cattedre rialzate, sequestro dei telefoni, ridare parola agli insegnanti, etc.

Dal canto nostro, se c’è qualcosa che ci pare assolutamente assente in questo momento, è una presa di parola forte da parte di chi la formazione la vive tutti i giorni. Ciò che manca è la voce degli studenti e degli insegnanti che “fanno” la scuola. Chi vive le conseguenze di un definanziamento devastante, di un classismo ormai insito nella cultura scolastica, di una privatizzazione lampante.

Infine, nell’ultima settimana si sono aggiunte le dichiarazioni del neo-ministro Bussetti che, intervistato da vari giornali, ha affermato di aver cancellato la chiamata diretta degli insegnanti, seppur in forma provvisoria, che l’alternanza scuola-lavoro va migliorata per diventare più efficiente, e che all’interno del sistema formativo le scuole private mantengono un ruolo importantissimo e per questo vanno premiate. Un perfetto capovolgimento di fronte per un ministro fortemente voluto da un partito, il M5S, che in campagna elettorale chiamava alle barricate contro la “buona scuola”.

Tralasciando i continui voltafaccia dei pentastellati, la conferma di Bussetti nei confronti dell’impianto della Buona Scuola è la certificazione di un cambiamento di passo epico che si è avuto in questo paese: subordinare i percorsi scolastici delle scuole superiori, soprattutto di quelle a indirizzo tecnico e professionale, ai bisogni di formazione del personale e di trasmissione della cultura aziendale delle grandi imprese. E quindi oggi, come riportato in un articolo uscito su Linkiesta, «ci troviamo un milione e mezzo (sì, un milione e mezzo) di ragazzi dentro percorsi di alternanza. Alcuni eccellenti, altri da migliorare, altri ancora da riscrivere da capo: ma nessuno, nemmeno i partiti più ostili all’attuale Governo, si sono spinti a proporre il colpo di spugna. L’alternanza scuola lavoro è diventato un pezzo dell’offerta formativa della scuola italiana», giustificando il tutto con la presenza di un tasso di disoccupazione giovanile che sfiora il 40% e con la crisi economica.

E’ evidente come la necessità di una misura del genere sia del tutto ideologica, così come la presenza di un milione e mezzo di lavoratori gratuiti sia in tutto e per tutto un regalo alle imprese.

 

Ora, la domanda sorge spontanea, ma i Galli della Loggia, i Giovanni Floris, i grandi intellettuali progressisti di questo paese, non hanno nulla da dire al riguardo?