Sovranismo contro europeismo, la nuova frattura della politica europea
Scrive Sergio Fabbrini sul Sole 24 Ore di domenica 1 aprile: «l’esito delle elezioni del 4 marzo ha portato a compimento una crisi politica iniziata il 16 novembre 2011 (quando si insediò il governo Monti). La nascita del governo Monti non fu dovuta ad un colpo di Stato contro il precedente governo Berlusconi, ma alla irresistibile pressione sulla politica interna di fattori esterni. […] Quella data mostrò in modo inconfutabile che l’Italia (al pari degli altri paesi europei) non disponeva più dell’autonomia per decidere le proprie politiche di bilancio sulla base dei propri processi elettorali». Secondo l’editorialista del Sole, da quel momento (simbolico) lo scenario politico europeo si restringe inevitabilmente a due sole opzioni fondamentali: chi rifiuta l’interdipendenza europea e chi invece la promuove, seppure nelle forme volte a migliorarla preservandone alcuni margini d’autonomia. Di qui il processo politico che porterà sempre più alla configurazione di due macro poli, quello “sovranista” e quello “europeista”: «la frattura che nasce dall’interdipendenza del XXI secolo sta oscurando quella nata dall’industrializzazione del XIX secolo. Di qui le trasformazioni dei sistemi di partito».
Questo fatto è un’evidenza segnalata da anni da una lettura materialista dei fenomeni politici. Eppure, è un’evidenza che sta di fatto stritolando l’estrema sinistra occidentale. Questo terreno, imposto dall’accelerazione europeista, è naturalmente più favorevole alle destre che alle sinistre: nella difesa delle prerogative nazionali nessuna sinistra riuscirà a battere l’immediatezza della coerenza reazionaria. Per quanto ci si possa sforzare, fino a quando la lotta allo status quo verrà fatta in nome dello status quo ante, lavoreremo al rafforzamento di un immaginario regressivo impossibile da recuperare coi nostri cavilli ideologici, visto che la nostra proiezione nel mondo si fonda esattamente sulla critica al passato e non sul recupero dello stesso. Allo stesso tempo, continuare a confondere europeismo con internazionalismo contribuirà alla marginalizzazione delle sinistre, perché di fatto accomunate al polo europeista. Una percezione illustrata bene dal portavoce macroniano Shahin Vallée che, in un impeto di sincerità, ha il coraggio di dire le cose come stanno: tra Macron, Grillo e Varoufakis esistono molti più punti in comune che tra gli stessi e Le Pen o Salvini. I primi appartenenti al polo europeista, i secondi al polo sovranista. Per quanto eterogenei al proprio interno, sfaccettati e in competizione vicendevole, ambedue gli schieramenti sono cementati dal fattore Ue. Un processo di questo tipo stritola le sinistre. Eppure, è uno sviluppo che sta avvenendo a prescindere da queste. Detto altrimenti, non è la cedevolezza di queste ultime a plasmare uno scenario regressivo di questo tipo, ma esattamente il contrario: è lo schiacciamento politico di ogni questione dirimente attorno all’appoggio o alla resistenza alla Ue che ha provocato l’espulsione delle sinistre dalla società politica. Insomma, va presa una posizione, inutile continuare a girarci intorno. Ma questa, in assenza di concrete lotte di classe entro cui affinarla e farla vivere nella sua forma inevitabilmente spuria imposta dalla realtà, persisterà confinata nell’ideologia, un terreno non proprio favorevole alle sinistre di questi tempi. Bisogna attrezzarsi, ma in assenza di clamorosi rivolgimenti del quadro economico o politico, l’attuale condizione di sospensione della storia (per noi) rimarrà lo scenario più probabile nel futuro prossimo. Insomma, aveva ragione Lenin: «dateci un’organizzazione di rivoluzionari e capovolgeremo la Russia». Ma senza Prima guerra mondiale difficilmente ci sarebbe stato alcun capovolgimento, anche con l’organizzazione di rivoluzionari.