Repubblica e i ribelli siriani, ovvero della straordinaria libertà d’espressione del giornalismo italiano
Complice il prosecco e qualche panettone di troppo, la mattina del 4 gennaio qualcosa dev’essere andato storto nella redazione di Repubblica. D’improvviso, senza accorgersene, ingolfati dai festeggiamenti del Capodanno, ecco apparire per un brevissimo lasso di tempo la verità. Come sempre, questa si presentava senza clamore, senza schiamazzo, con la consueta eleganza delle cose semplici: «Siria, le narrazioni fasulle dell’”Osservatorio siriano sui diritti” che copre i crimini dei cosiddetti “ribelli”». Il titolo, degno del Pulitzer: in una frase racchiuso il significato di sei anni di guerra civile. Lo svolgimento ripete semplicemente quanto ormai accertato da chiunque abbia almeno capito dove si situi la Siria sul mappamondo: «Dunque, la verità a quanto pare, è che sono i cosiddetti “ribelli”, terroristi senza scrupoli, ad affamare i civili, privandoli degli aiuti a loro inviati, usandoli come scudi umani e come oggetto di un’ignobile mistificazione della realtà».
E poi il silenzio, l’oblio. Nel pomeriggio, nessuna notizia dell’articolo, del suo autore, di tutta la faccenda. In compenso, uno stralunato articolo di scuse verso i lettori, colpevoli di aver letto per qualche ora la verità. Espulso dalla rete, come mai avvenuto, cancellato da ogni memoria. Se ne salvano pochi screenshot recuperati qua e là nella rete:
Altre poche ore, ed ecco lo sconfortato atto di contrizione, la penitenza pubblica, l’autoaccusa.
Il processo si è risolto per il meglio, l’imputato ha dichiarato di sua sponte la sua colpevolezza, possiamo tornare a raccontarvi la nostra realtà: «Messa da parte ogni pretesa di assoluta indipendenza, a fornire le notizie dalle zone che resistevano ad Assad sono stati per mesi i vari Media center gestiti da attivisti locali». La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. Viva il giornalismo.