La gogna quotidiana del lavoratore pubblico
L’incidente alla stazione Termini il 12 luglio scorso, che ha visto una donna rimasta ferita tra le porte della metro B in movimento, è stata l’occasione ghiotta per i media nazionali per scatenare un vero e proprio linciaggio non solo contro il lavoratore “colpevole” di presunta negligenza, ma per colpire, come sempre, il lavoro pubblico. Non è la prima volta e non sarà neanche l’ultima che vedremo i giornalisti promuovere, suscitare, caldeggiare ad arte campagne mediaticamente volte a denigrare il lavoratore pubblico, generalmente descritto come fannullone e negligente. E’ d’altronde noto che la larga maggioranza dei giornalisti sono parte strategica delle campagne d’odio verso il pubblico impiego confuso opportunamente con “burocrazia”, professionalmente dediti a stimolare il dissidio tra lavoratori e cittadini come se fossero due fronti opposti, oppure a evidenziare i presunti privilegi di chi lavora rispetto a chi è disoccupato. Ma perché, proprio in questo momento, si dedica uno spazio così largo a un episodio davvero banale? Si prepara la campagna d’autunno sulla privatizzazione delle municipalizzate, a partire proprio dall’azienda di trasporti metropolitani Atac. Da settimane a Roma i radicali hanno lanciato la campagna “Mobilitiamo Roma” per il referendum consultivo affinché la municipalizzata dei trasporti possa essere messa a gara, come dicono con il solito linguaggio liberista: «aperta alla concorrenza, rompendo il monopolio pubblico, motivo del dissesto finanziario e delle pessime performance del servizio cittadino». Come non collegare la campagna del mainstream mediatico a questa finalità politica, che va al di là della vicenda particolare dei trasporti romani ma che riguarda l’assetto delle aziende di trasporto pubbliche. Non è un caso che nell’ultimo anno il pressing della Commissione europea sull’improrogabilità della messa a mercato delle aziende municipalizzate, dei servizi essenziali (acqua, luce, ciclo dei rifiuti, trasporti) si fa sempre più pressante e che ha visto nella legge di riordino della Madia un tentativo di sfondamento. Ma dietro la sfortunata e drammatica vicenda della donna ferita in metro si cela cinicamente la voglia di scatenare una campagna contro i lavoratori e i loro diritti, a partire da quello di sciopero che il governo Pd intende definitivamente limitare ai sindacati confederali, compatibili e ormai fortemente delegittimati anche agli occhi di molti lavoratori. Il disprezzo verso il lavoro è ben evidenziato dal Corriere della Sera, per mano di Federico Fubini: «e oggi che infuriano le polemiche per la donna trascinata nel metrò di Roma mentre il macchinista mangiava in cabina, quell’episodio torna attuale perché ricorda in fondo la stessa realtà: in molte parti d’Italia si è consumato un divorzio tra gli interessi personali di cerchie ristrette di dipendenti di società pubbliche – protetti da tutto, irresponsabili di tutto – e le esigenze dei più deboli. La protervia con cui pochi dipendenti pubblici difendono il proprio diritto presunto a lavorare il meno possibile danneggia chi ha bisogno dei mezzi pubblici per lavorare, cercare lavoro o studiare».
La vulgata liberista racconta dei presunti privilegi di questi lavoratori, in diretta contrapposizione agli interessi nientemeno che “dei più deboli”. La soluzione è allora il mercato, la concorrenza, la rottura delle immaginarie “posizioni di privilegio” dismettendo le società pubbliche al miglior offerente che, come sempre è avvenuto nella storia di questo paese, si comprerà aziende pubbliche con due soldi per poi metterle in servizio, con una prestazione media generalmente più scadente, a prezzi maggiori per l’utenza (lavoratori e non), ma soprattutto con un drastico abbassamento delle garanzie contrattuali e salariali di chi ci lavora. Questo è già realtà a Roma, visto che la “Roma Tpl” è un’azienda privata che ha un contratto di servizio con il Comune di Roma per la gestione e il servizio del 20% delle linee periferiche romane e che è nota da anni per non pagare gli stipendi ai suoi lavoratori e per una gestione fallimentare del servizio (gestione fallimentare accollata però all’Atac e contro di questa aizzata nelle periferie). La favoletta del mercato e della concorrenza mostra insomma il suo vero volto. La vecchia ma sempre efficiente strategia della menzogna ideologica ripetuta sistematicamente si rovescia in verità nel discorso pubblico, e lentamente si trasforma in buon senso comune. Quel presunto buon senso che si presenta come la vera e più perfida arma di distrazione di massa nelle mani dei padroni.