Fascisti, sciacalli e dettagli.
Da qualche giorno sulla Tiburtina, a Roma, sono comparsi i manifesti di casapound che vedete qui sopra. Dal punto di vista politico potremmo dire che non c’è niente di nuovo sotto il sole caldissimo di questo inizio d’estate. Se anche la sindaca Raggi subito dopo lo schiaffo elettorale ha “pensato bene” di giocarsi la carta “emergenza migranti” per recuperare qualche consenso, figuriamoci cosa può fare chi dello sciacallaggio sociale a fini elettorali ne ha fatto uno stile di vita. Nel caso specifico, poi, il tentativo alquanto patetico è quello di intestarsi l’eventuale “chiusura” del centro d’accoglienza gestito dalla CRI a cui, per il momento, non è stata ancora prorogata la convenzione (leggi) scaduta ormai da sei mesi. Insomma una vicenda in cui la “mobilitazione” di Cp pesa come il due di coppe quando regna denari. Ma non è stato questo ad attirare la nostra attenzione, quanto piuttosto la scelta della foto per il manifesto. Un semplice dettaglio potrà pensare qualcuno, ma a volte sono proprio i dettagli a ribadire il livello infimo a cui solo i fascisti riescono a scendere. Ci siamo immaginati il povero grafico ariano mentre da fondo alle energie del suo nuerone solitario nella cameretta piena di poster di tartarughe ninja e di Mussolini che, per inciso, non sa mai come attaccare: a testa in su o a testa in giù? Il grande capo gli ha appena detto di fare un manifesto d’impatto, che evochi il bisogno di sicurezza degli onesti cittadini bianchi, e lui a malincuore è stato costretto ad abbandonare youporn per mettersi a cercare un immagine “forte” che facesse al caso. Quand’ecco arrivare dall’oracolo di Google l’illuminazione tanto attesa: una foto di giovani immigrati africani che bloccano una strada, sono incazzati, hanno dei cartelli divelti in mano, e dietro di loro si alza, nero, il fumo dei copertoni in fiamme. L’immagine perfetta per l’operazione politica che stiamo tentando di fare, avrà pensato rimettendo finalmente a riposo il neurone stressato. Se l’italiano medio non si spaventa così… Come dicevamo, però, i dettagli a volte sono estremamente significativi. Perchè quella non è una foto come tante, ma ha un alto valre simbolico. Perchè non ha nulla a che vedere con i centri di accoglienza mentre, invece, ha tanta, tantissima attinenza, con la storia più recente della lotta di classe in questo Paese e con la dignità umana in generale. Per chi non lo ricorda quella foto venne scattata nel gennaio del 2010, a Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, dove migliaia di braccianti vivevano (e vivono) ammassati come bestie dentro fabbriche abbandonate. Ridotti in condizione di semi schiavitù, costretti a lavorare per 20 euro al giorno, di cui 5 da ridare alla ‘ndrangheta, per raccogliere le arance e per far arricchire italianissimi padroni. Quel giorno ad accendere la miccia della rivoltà era stata l’ennessima aggressione da parte dei caporali e della criminalità organizzata, 3 lavoratori erano stati feriti da colpi di armi da fuoco e la rabbia, più che sacrosanta, era tracimata in strada. Quello che realmente dovrebbe far “scandalizzare” guardando quella foto non è dunque la “rivolta dei neri”, quanto, piuttosto, che insieme a loro non ci fossero anche lavoratori italiani. Quando questo finalmente accadrà la “sicurezza” di fascisti, sciacalli e sfruttatori sarà veramente a rischio.