Le spietate contraddizioni del capitalismo reale
«Questa borghesia è illuminata finché qualcun altro paga la bolletta della luce», diceva Valentino Parlato. Parafrasando, possiamo dire che questo liberismo straccione, di cui si riempie la bocca la classe dirigente europea, è illuminato finché lo Stato ne consente i margini di profitto. Fuori da questa costruzione artificiosa definita “libero mercato” c’è la dura realtà dei fatti, quella per cui l’economia privata europea può reggersi solo a patto di essere costantemente sovvenzionata con denaro pubblico, protetta da rigidissime legislazioni fondate sulla competizione, e legittimata dall’ideologia del “privato è bello” smentita da tutti – tutti – i fatti economici. Questo ci dicono i 115 miliardi di denaro pubblico versati a fondo perduto nelle casse delle (privatissime) case automobilistiche tedesche. Una notizia che si perde nel mainstream quotidiano ma che, al contrario, ha la forza di svelare il reale funzionamento del modello produttivo liberista. Ma c’è di più. C’è soprattutto il racconto che vuole il (nostro, ma non solo) debito pubblico prodotto dal sovvenzionamento statale all’economia. E’ una falsità che racchiude una piccola verità determinata dalla perversa dinamica liberista realizzata in ambito Ue. Questa infatti, lungi dal vietare la transizione del denaro pubblico nelle casse delle aziende private, impedisce in realtà un’altra cosa: generare profitti pubblici. Lo Stato infatti è costantemente chiamato a risanare aziende private in crisi, ma questa operazione, raccontata come “pubblicizzazione”, è in realtà l’accollo collettivo dei debiti privati. Una volta risanata, invece di generare guadagni per lo Stato l’azienda viene rimessa nel circuito dell’economia privatizzata, stroncando sul nascere qualsiasi ipotesi di guadagno pubblico dal processo di risanamento, e contribuendo così alla moltiplicazione del debito nazionale. Questa depravazione economica non genera alcun turbamento nell’ideologia mercatista che governa la Ue. L’unico sussulto che provoca dalle nostre parti è il rosicamento evidente per il diverso trattamento riservato alla Germania da una parte, e ai paesi mediterranei dall’altra. La prima sostanzialmente libera di agire come crede nel rapporto incestuoso tra debiti pubblici e profitti privati; i secondi costantemente sotto l’occhio vigile del rigore liberista, che alza la bacchetta ad ogni paventato “aiuto di Stato”.
Anche questo tocca subire in questa Unione europea: l’invidia di un capitalismo nazionale che vorrebbe servirsi di tutte le “armi” disponibili al fine di rianimare l’inutile “unovirgola” di crescita economica, sbeffeggiato dai suoi partner commerciali che drenano a più non posso denaro pubblico con la faccia di chi rimprovera continuamente al grido di “non si fa”, “scattano le sanzioni”, “occhio che vi commissariamo”.