Quel popolo sconosciuto
E così, l’ultimo sondaggio elettorale datato 3 marzo certifica il M5S come primo partito italiano, seguito da un calante Pd e da una sequela di forze di media grandezza quali Forza Italia e Lega nord. Come spiegare questa tenuta grillina di fronte alle continue contraddizioni create dalla sua più importante (finora) esperienza di governo, l’amministrazione della Capitale, e nonostante il killeraggio mediatico quotidiano subito a reti e giornali unificati? In realtà la tenuta è comprensibile solo guardando al M5S come “oggetto” della politica, e non come soggetto politico, come invece viene normalmente considerato dai commentatori politici, soprattutto a sinistra. Questi ultimi sfruttano ogni contraddizione (evidente) dell’azione politica grillina giungendo sempre alla medesima tronfia conclusione: “vedete? Inutile votare il M5S, è parte del problema e non della soluzione, è l’altra faccia del liberismo”, e cose così, ripetute col ghigno soddisfatto del fine analista che spiega al popolo le proprie tare ideologiche. Ma quello stesso popolo, purtroppo per i suddetti analisti da Facebook, è ben conscio dell’incapacità grillina di risolvere alcunché. Le basi della forza elettorale Cinque stelle non risiedono nella sua qualità politica, ma nella capacità di essere utilizzato da vasti pezzi di proletariato nazionale come “veicolo” per esprimere un bisogno di rottura con la classe dirigente. Il M5S potrebbe governare nel peggiore dei modi – diciamo anche che lo sta ampiamente facendo – e cambierebbe poco o nulla di questa funzione politica che è riuscito ad incarnare (sottraendola peraltro all’altro grande soggetto presentato come “antisistema”, la Lega): il M5S serve ad esprimere un’insoddisfazione, non a proporre un’azione di governo. Ma questo gli Eugenio Scalfari che proliferano su Twitter non riescono minimamente a coglierlo, perché non sanno cos’è, com’è fatto e come ragiona questo “popolo” che corrisponde per molti versi a un proletariato definitivamente disilluso. Questa disillusione – di cui porta massima responsabilità la sinistra d’ogni forma e grado – non viene percepita nella sua reale dimensione. Viene scambiata per disaffezione verso questo o quel leader, verso questa o quella corrente politica, non capendo che è il concetto stesso di sinistra oggi ad essere sovrapposto – giustamente – a quello di élite socio-politica. Tutto questo non sarà bello, ma con tutto questo bisogna farci i conti.
Questa forza elettorale, che andrà incontro forse ad un ridimensionamento ma, stante la perdurante crisi economica reale, sembra destinata a reggere alla propria inconcludenza politica, è al contrario ben presente non solo tra il “popolo”, ma anche tra le forze politiche. E’ anzi il primo motivo per cui ancora non si è andato a votare. Senza nuova legge elettorale, nessuna elezione è possibile o sarà consentita dalla Ue. E questo per il motivo di cui sopra: il M5S è destinato a vincere, e nessuno sano di mente nella politica italiana è disposto a consegnare il governo al movimento grillino. E’ anche la ragione per cui fino a ora non si esce dall’impasse sulla legge elettorale. Sulla carta, esiste la legge giusta e in linea coi principi europeisti della governabilità a scapito della rappresentanza: il ritorno al Mattarellum. In pratica, però, una legge maggioritaria rischierebbe di produrre un governo Cinque stelle. Questo il motivo per cui oggi l’unico scenario realistico è un proporzionale rinforzato, cioè il più rappresentativo possibile. A scapito di ogni indicazione Ue. Questo il cul de sac in cui si trova la politica italiana, e che garantisce il governo Gentiloni da repentine cadute. Gentiloni è la toppa in attesa di trovare l’escamotage giusto alla contraddizione elettoralistica italiana.
Un ritorno al proporzionale puro – non la versione macchiettistica che dura da un quindicennio – renderebbe impossibile un nuovo governo Renzi (o Berlusconi, o Salvini, o di chiunque altro leader politico). La legge proporzionale impone primi ministri di mediazione, frutto dell’accordo in Parlamento tra le forze politiche di governo. Anche un Pd vincitore con ampio margine sul secondo partito non riuscirebbe mai a governare contro l’opposizione aggregata di M5S e tutto il fronte del centro-destra, perché non ne avrebbe i numeri. La grande coalizione è a quel punto l’unica soluzione, ma non potrà essere guidata da un Premier forte, espressione coerente del partito di riferimento. Dovrà, per forza di cose, essere un rappresentante minore, ponte tra le diverse anime dell’ammucchiata governista. E’ anche per questo che il governo Gentiloni è un modello politico che probabilmente verrà riprodotto dopo le prossime elezioni. E questo è anche il motivo della scissione democratica. Dentro il Pd quel ceto dirigente non aveva più margini contrattuali credibili. Al prossimo congresso, sancita la vittoria renziana, per l’ala dalemiana non sarebbero rimaste che le briciole. Da fuori però il discorso cambia. A un Pd incerto, un 2 o 4 per cento elettorale in più farebbe molto più comodo del cacacazzi bersaniano dentro il partito. La forza contrattuale dei dalemiani a quel punto sarebbe notevolmente rivalutata. Specularmente, è il motivo per cui Salvini e ratti vari non andranno incontro ad alcuna moderazione politica in vista delle elezioni. Al contrario, con una Forza Italia che presidia (o vorrebbe presidiare) il centro della politica, è necessaria una copertura a destra in grado di intercettare più voti possibili. Insomma, siamo in una fase centrifuga della politica, dove paga la moltiplicazione dell’offerta piuttosto che la sintesi unitaria. Questa però si scontra con un’altra grande contraddizione dei nostri tempi: tutti i soggetti concorrenti esprimono un unico punto di vista politico-economico, quello del liberalismo più o meno moderato in chiave democratica-europeista o reazionaria-nazionalista. A una superfetazione organizzativa non corrisponde una moltiplicazione delle idee e delle proposte alternative. Questo il motivo per cui non siamo in presenza di un ritorno alla prima Repubblica, ma ai tempi supplementari di una seconda in crisi di legittimità. Difficile spingersi oltre con le previsioni, ma una cosa è certa: ogni crisi è foriera di opportunità.