Dal no all’euro all’Europa liberale: il curioso dietrofront di Grillo
Il processo di “governizzazione” del movimento grillino assume oggi tratti talmente plateali da renderlo sospetto. Come volevasi dimostrare, il problema del M5S rispetto alla comunità europea non fu entrare nel gruppo parlamentare insieme all’Ukip, quanto oggi scegliere di uscirne, smascherando la sostanza provocatoria dei suoi (sempre più rari) attacchi all’Unione. Aderendo al gruppo liberale dell’Alde, per giunta (sempre che l’Alde stesso lo voglia, il che è tutto da vedere). La sinistra che sbraitava contro l’ignobile alleanza col nazionalista inglese dovrebbe festeggiare. Al contrario, il passaggio politico di questi giorni segna l’ennesima tappa del Movimento verso il definitivo addomesticamento con le politiche europeiste. Esattamente come Tsipras in Grecia, nel gioco di alleanze anti-euro si fa quello che la realtà consente. L’alleanza con l’Ukip, che significava compromettersi con una forza apertamente conservatrice, nazionalista e xenofoba, portava in dote la possibilità di battagliare contro la Ue dentro lo stesso Parlamento europeo. Farage, in questo senso molto più coerente del suo alter ego italiano, la Brexit l’ha portata a casa. Cosa ha portato a casa Grillo, scegliendo di terminare la sua alleanza nel gruppo Efdd? Nulla, ma con questa scelta si propone come candidato credibile agli occhi e agli interessi di quella borghesia che ha come unico obiettivo quello di cementare la costruzione europeista. Eppure il ragionamento di Grillo nasconde una visione della realtà politica meno superficiale (ma non per questo più condivisibile) di quanto si potrebbe pensare a prima vista. Secondo i piani del padrone del Movimento, nei fatti quest’ultimo si è aggiudicato stabilmente la rappresentanza delle ragioni dell’opposizione, qualsiasi cosa questo dica o faccia. Si è accorto di godere di una rendita di posizione. Le vicende romane da questo punto di vista consolidano questa visione. Nonostante i disastri combinati – sia quelli reali, ancora pochi, sia quelli d’immagine, una caterva – le percentuali accreditate al Movimento rimangono sostanzialmente le stesse. Nei momenti di maggiore accanimento mediatico perde neanche l’1% dei consensi virtuali; passata la buriana, li recupera subito. Questo è un dato stabilizzato. La strada verso il governo è spianata, così come nella crisi di Marino era spianata la strada verso la vittoria elettorale al Comune. L’unica possibilità che il sistema politico ha di sbarrare la strada alla sicura vittoria del M5S sarebbe l’approvazione di una legge proporzionale il più proporzionale possibile. E senza grandi soglie di sbarramento: solo così è pensabile la grande ammucchiata governista anti-grillina. In teoria, un capovolgimento democratico davvero in controtendenza nella società post-democratica occidentale. In pratica, la “svolta” servirebbe solo a contenere Grillo in attesa di tempi migliori. Eppure questa svolta non è certo facile da prodursi. L’Unione europea (cioè Mattarella) se ne guarderebbe bene dall’appoggiare una legge elettorale che aprirebbe varchi all’ingovernabilità e all’ampliamento della rappresentanza potenziale di ogni interesse sociale. Nei fatti quella legge non la vuole nessuno se non Berlusconi, che oggi ha percentuali elettorali vicine alla Rifondazione dei tempi che furono. La politica italiana si trova allora in un cul de sac dal quale non sarà automatica o indolore la via d’uscita. Da una parte lo spauracchio di Grillo, cioè l’ingovernabile pulsione anti-europeista di buona parte della sua base sociale; dall’altra il todos caballeros.
In questo scenario confuso, Grillo sa bene che l’unico strumento per ostacolare la sua cavalcata trionfale verso Montecitorio sarebbe la guerra mediatico-economica che tutta la borghesia europea scatenerebbe contro l’ipotesi stessa di un governo 5 stelle. Non solo tutti i media in campagna anti-grillina permanente. Ma la finanza, coi suoi spread a comando politico, nonché quel mondo della “cultura” schierato da sempre, all’occorrenza, col potere (Saviano docet). Grillo ha allora bisogno di tranquillizzare, mostrandosi più realista del Re, più europeista di Gentiloni, all’occorrenza più duro (sui migranti) della destra reazionaria. E’ tutta una mossa tattica? In realtà è probabile che convivano in queste scelte confusione e convinzione. Da una parte c’è la scelta tattica consapevole, dall’altra la concreta ignoranza di cosa fare una volta al governo. Come visto a Roma, vinte le elezioni il movimento grillino non ha idee coerenti di come affrontare la situazione. Meglio tenersi tutte le porte aperte e vedere cosa succede mano a mano che la realtà prende forma sotto i piedi della Casaleggio associati. Se fosse solo una scelta tattica, sarebbe persino comprensibile. Ma il dubbio è forte. Il dubbio è che davvero il M5S, approssimandosi al governo, smentisca il suo principale orizzonte politico, quello che ne ha decretato la suddetta rendita di posizione, e cioè la critica all’Unione europea. Esattamente come Tsipras in Grecia, sarebbe una catastrofe politica, visto che a quel punto l’alternativa a questa Europa ordoliberale verrebbe solo dall’estrema destra. In realtà, poi, la resa di Syriza in Grecia non ha spalancato le porte ad Alba Dorata. Più mestamente, ha ridotto la sinistra a serva sciocca dell’Eurogruppo, protagonista del processo di svendita senza precedenti delle risorse di uno Stato al capitale privato internazionale. Il destino del M5S potrebbe anche essere questo: il referente di un processo di svendita ancora più accentuato di quello attuale. Ma, come al solito, la direzione che prenderà il M5S al governo non dipenderà tanto dalle volontà stesso Movimento, ma dalle contraddizioni politiche che lo attraverseranno una volta al governo.