È morto il compagno Fidel Castro
Tornerà, come la polvere di stelle. Vale per Fidel quanto è stato scritto, in libri e in saggi, ma soprattutto in canzoni e in poesie popolari, per il Che. Non sappiamo se sia stato l’uomo politico più influente del XX secolo, sicuramente quello a cui l’età ha dato il triste privilegio di collezionare più cicatrici. Serve coraggio, forza e preparazione per sostenerle, quelle cicatrici. E per restituirne ancora di più, molte di più, fino a far barcollare il nemico.
Fidel e tutto il popolo cubano ci sono riusciti, tanto che gli Usa – anche se la sinistra riformista europea finge di non essersene accorta – da tempo hanno ammesso la sconfitta di una guerra che combattono – con la ferocia che nel tempo hanno riservato a tutti i popoli rivoluzionari – da più di cinquanta anni. Adesso tanti pennivendoli dalla vista corta e il portafoglio gonfio collegheranno le recenti “aperture” di Obama (peraltro tutte ancora da dimostrare) alla consapevolezza che Fidel fosse nella parte finale della sua vita: sono gli stessi che consideravano il bloqueo di fatto come un “favore” che gli Usa facevano al comunismo cubano, quindi meritano poca attenzione e nessuna stima.
Fidel è stato un rivoluzionario e un liberatore. È stato il comandante di un popolo in armi. Il popolo rimarrà in armi fino a che l’ultima restrizione del bloqueo non sarà sparita – al di là dei proclami mediatici – e finché l’imperialismo continuerà ad aggredire il socialismo. La guerra non si interrompe se muore un generale. Poi c’è un altro discorso, legato a quello che ha fatto Fidel e a ciò che ha rappresentato, per i cubani, per tutti noi comunisti, persino per i nemici di classe. Poche righe non possono affrontare questo argomento, né l’emozione del momento permette di essere analitici. Tempo verrà per riflessioni, commenti, omaggi.
Nella famosa intervista, quando rispondeva alle domande cretine di Oliver Stone, disse “Se potessi rivivere, rifarei tutto”. Anche di più, anche meglio.
Adesso, semplicemente, grazie, Comandante!