Dieci anni dopo Pansa
Per commemorare degnamente il decennio trascorso dall’ormai celebre contestazione a Giampaolo Pansa, riportiamo quella che rimane ancora oggi la cronaca più fedele, dettagliata e informata su di noi e il movimento antifascista romano di quei tempi. Un giornalismo capace di andare oltre le apparenze, indagando la natura dei fenomeni sociali e politici oltre le semplici etichette mediatiche. Un giornalismo di cui rimpiangiamo la scomparsa.
In attesa della galera invocata da Giorgio Bocca per il reato di “leso antifascismo”, Giampaolo Pansa si è dovuto accontentare dell’irruzione squadristica di una ventina di esponenti della Rete antifascista romana, più qualche basista locale, durante la presentazione a Reggio Emilia del suo libro La grande bugia. Stiamo parlando di Antifa Project promosso da autonomi storici che animano il sito di abbigliamento online www.militant.it. Insieme a loro, giovani Rash, ovvero Red Anarchist Skinheads, teste rasate, abbigliamento casual da street fighter. Fanno riferimento al centro sociale Trattoria 32 di via dei Volsci, stazionano al pub all’angolo con via di Porta Labicana, ma ogni tanto anche a quello in via degli Etruschi, sempre a San Lorenzo. Qualcuno viene dai quartieri popolari della Tiburtina, ma non mancano i figli di papà en divertissment, tant’è che la piccola società cooperativa, battezzata Zona Rossa, che gestisce le loro attività economiche ha sede in via Brofferio 6, nel borghesissimo quartiere Prati degli uffici legali e delle sale massaggio per manager in pausa pranzo. Non sono troppo amati all’interno della stessa sinistra radicale, che li definisce «fascisti» sul sito di informazione no global Indymedia, perché il loro antifascismo, fatto di agguati e cacce al “fascio”, ha già alzato il livello di scontro per le strade di Roma, provocando le poco gradite ritorsioni dei destri tra cui, si dice, anche l’assalto all’ex S. Maria della Pietà (un centro sociale romano) a colpi di molotov.
L’azione di Reggio è stata rivendicata dal gruppo su Indymedia con un comunicato dal titolo “Pansa al muro” e ha avviato un duro dibattito tra sostenitori e contrari all’iniziativa in cui non mancano minacce nemmeno troppo velate: «D’ora in poi ogni volta che l’infame Pansa si muoverà per l’Italia a presentare i suoi infami libri che speculano e insultano i martiri della Resistenza e le persone uccise dal nazifascismo, ci saranno i compagni ad aspettarlo».
Nel maggio 2006 occupano la sede della storica casa editrice di sinistra Castelvecchi perché pubblica un libro sui centri sociali di destra. Nel corso dell’estate giocano all’antifascismo militante, tentando di dare fuoco a un pub frequentato da simpatizzanti di destra sulla via Nomentana, aggredendo persone anche solo per rubare trofei da esibire la sera in birreria. Nel quotidiano, non disdegnano l’esibizione di mazze, tubi idraulici e pugni di ferro. Sono gli stessi che si sono guadagnati l’epiteto di “fascisti rossi” gridando «10, 100, 1.000 Nassiriya» al tristemente famoso corteo pacifista contro la guerra in Iraq. Gli stessi che, alla manifestazione contro il «clima aggressivo e violento in città» che avrebbe provocato la morte di Renato Biagetti, il ragazzo del centro Sociale Acrobax ucciso lo scorso agosto a Focene all’uscita da un locale, hanno gridato «Piazzale Loreto ce l’ha insegnato, uccidere un fascista non è reato» e «10, 100, 1.000 Acca Larenzia (un agguato del gennaio ’78 nel quale furono uccisi a colpi d’arma da fuoco due giovani missini che uscivano dalla sezione del quartiere, ndr)». Frasi che hanno provocato il colpevole imbarazzo di Vladimir Luxuria, presente in pajettes antifasciste, e del Sottosegretario no global Paolo Cento. Nonostante gli inquirenti abbiano escluso la matrice politica di quell’omicidio, attribuendo il gesto a balordi locali, per gli organizzatori del corteo ogni aggressione è fascista per definizione. Nel corso della stessa manifestazione è stata resa pubblica una vera e propria lista di proscrizione che comprendeva giornalisti, scrittori, intellettuali e addirittura calciatori accusati di «legittimare la cultura neofascista».
Nell’ultima azione di “autodifesa popolare” hanno impedito, spranghe alla mano, la presentazione del libro sui lager cinesi scritto da Harry Woo, dissidente imprigionato per 19 anni, perché, testualmente, «presentazione di un libro di Forza Nuova». Superfluo dire che né il libro, né l’autore nulla c’entravano col mondo neofascista.
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