Un piccolo passo in avanti
Un milione e trecentomila lavoratori venerdì hanno scioperato in tutto il paese; un grande corteo nazionale ha attraversato le strade di Roma come non accadeva da troppo tempo; per due giorni la capitale è stata di fatto bloccata dalla protesta sociale contro la riforma costituzionale, contro il governo Renzi e contro le politiche liberiste dell’Unione europea. Sarebbe controproducente cedere ai facili entusiasmi dell’obiettivo raggiunto, ma di certo da ieri la sinistra riparte più forte di prima.
La credibilità, anzitutto. Ieri ha sfilato per la città non la sinistra “dei partiti”; men che meno quella “dei movimenti”: ha manifestato quella “sinistra sociale”, espressione del mondo del lavoro più o meno sindacalizzato, precario e impoverito, da tempo in rotta con la sinistra “ufficiale”, intesa nel senso più largo possibile. Una piccola opera di ricomposizione, quanto mai necessaria, ineludibile, è stata prodotta. E’ solo un piccolo passo in avanti, ma che avviene dopo anni di passi indietro. In primo luogo, perché lo sciopero di venerdì era principalmente uno sciopero “politico”, costruito attorno al rifiuto della riforma costituzionale e al rifiuto della Ue come emblema del liberismo europeista. Costruire di questi tempi uno sciopero generale sarebbe stato opera improba anche al sindacalismo giallo confederale; chiamarlo non su una singola vertenza o trattativa col governo, ma su un’idea di mondo, di opposizione conflittuale al governo in carica e ad un certo “spirito del tempo”, significava giocare col fuoco rischiando seriamente di bruciarsi. Eppure il blocco della produzione, della mobilità, della logistica, dei “flussi”, è riuscito ben al di sopra della attese. Una prova di forza conflittuale come non accadeva da molti anni, sintomo di un’internità sociale nei posti di lavoro su cui si è lavorato, per una volta, bene. E che ha colpito il padronato nazionale, tanto economico quanto politico e mediatico, rimasto stupefatto dalla mobilitazione generalizzata: “città paralizzate”, “traffico impazzito”, “caos generale”, solo alcuni dei titoli ieri presenti nei peggiori giornali del regno renziano.
Ancor più dello sciopero, però, è riuscito il corteo nazionale. Perché ancor più “complicato” il messaggio lanciato: attraverso la mobilitazione si possono fermare le controriforme sociali europeiste, si può combattere il governo Renzi, si può stoppare lo smantellamento della Costituzione. Un messaggio forse (forse) ovvio tra i militanti politici, ma che così ovvio non è nella “società reale”, quella ormai completamente disillusa, rassegnata, polverizzata, addomesticata. Se lo sciopero in qualche modo “obbliga” alla partecipazione quantomeno gli iscritti ai diversi sindacati di base che lo hanno indetto, la manifestazione come momento di rappresentazione politica non obbliga proprio nessuno, e i numeri, come non mai in questa fase, segnano il reale convincimento dei lavoratori mobilitati. Difficile quantificare materialmente le persone in piazza ieri. Quando il corteo girava per via Labicana, la coda doveva ancora lasciare piazza san Giovanni – Abd Elsalam; quando la manifestazione giungeva a Campo de Fiori, la coda rincorreva nella prossimità di piazza Venezia.
Questa due giorni non cambia però lo stato di cose presenti. Ci rafforza, ma non ci facilita il compito politico di qui al giorno dopo il 4 dicembre. Senza una mobilitazione pressante, l’eventuale vittoria dei No verrà intestata unicamente alla destra e al Movimento 5 stelle. Si indebolirà Renzi senza spostare a sinistra il quadro di instabilità che potrebbe aprirsi dal 5 dicembre. Detto che la battaglia sarà difficilissima e per nulla scontata (nonostante i No continuino ad aumentare il proprio margine – ieri il Corriere li dava al 54%), potremo avere voce in capitolo solamente se la battaglia assumerà le forme progressive e conflittuali del No sociale contro Renzi e la Ue. Altrimenti, rimarremo solo dei bravi portatori d’acqua per le fortune politiche altrui. Non ci interessa.