Appunti piacentini
Tre sono gli spunti decisivi che ci lascia la manifestazione di Piacenza, utili per capire qualcosa nel mondo della sinistra e in vista degli appuntamenti dell’autunno. Il primo, la sua composizione di classe: è stato il corteo operaio più importante e combattivo da molti anni a questa parte. Raramente si è vista una mobilitazione così “omogenea” dal punto di vista sociale, una manifestazione di classe, del mondo del lavoro dipendente subordinato del settore della logistica ma, ovviamente, non solo di quello. Tra le 5.000 e le 10.000 persone, gran parte provenienti dal mondo della logistica, e soprattutto gran parte migranti. Una composizione che non ha atteso direttive, rappresentanze o chiamate altrui, ma che si è presa la scena con un protagonismo sociale e politico davvero in controtendenza coi tempi. Sono i migranti i veri protagonisti della manifestazione così come, da molti anni, delle lotte nella logistica. Migranti che hanno continuamente preso la parola dal camion, che hanno espresso quella combattività e quella disponibilità alla lotta che evidentemente manca altrove. Se c’era un posto e un momento dove capire questa potenzialità sociale inespressa, questo era il corteo di ieri. Se la sinistra di classe ha un futuro, questo parte da Piacenza, inteso non (solo) come momento di rabbia per la morte di un operaio, ma come luogo in cui per una volta si è ricomposto politicamente quel pezzo di classe centrale nei settori più avanzati dell’accumulazione capitalistica nel nostro paese.
Il secondo spunto, che rileva lo spirito dei tempi, è l’ordinanza di chiusura delle attività cittadine proclamata durante la manifestazione dal Pd in accordo coi commercianti. La morte di un operaio durante una manifestazione, che un tempo avrebbe stimolato solidarietà pelose da parte di tutto il mondo della politica, persino di destra, oggi genera solo indifferenza e (neanche troppo) celato fastidio. Il Pd cittadino obbliga alla serrata delle attività, senza alcuno scopo né obiettivo che quello di chiudere la città al corteo, di estraniare il tessuto cittadino da quelli che sono i suoi abitanti più sfruttati, quegli operai che vivono e lavorano a Piacenza ma che evidentemente non devono avere la possibilità di far ascoltare le proprie ragioni al resto della città e della cittadinanza. Paradossalmente, persino Matteo Renzi aveva espresso solidarietà affermando che “nessuno può morire manifestando”, nel silenzio generale del Pd nonché di tutto il resto del mondo intellettuale che pretende di interpretare o addirittura rappresentare i nuovi fenomeni sociali. Chiarendo, una volta per tutte, che il Pd non è composto da un corpo genuino e da una dirigenza politicamente corrotta: è tutto il partito, dal primo degli eletti all’ultimo dei cuochi delle feste dell’Unità, a puzzare di merda, ad essere – socialmente e politicamente – nemico.
Il terzo spunto è l’assenza del movimento. E’ stato, purtroppo, un corteo (quasi) esclusivamente sindacale, e questo è stato il vero limite manifestato a Piacenza ma che già si percepiva da giovedì. Gli operai, mai come in questi anni, sono soli, senza sostegno né possibile rappresentanza politica. Oltre a Usb, SiCobas e agli altri sindacati conflittuali presenti nelle lotte della logistica – per una volta, rileviamo, uniti nella protesta oltre le legittime divisioni sindacali e vertenziali – i compagni presenti dal resto d’Italia si contavano sulle dita di una mano. Oltre alla residualità partitica, pochissime erano le situazioni di movimento presenti. Verrebbe la voglia di elencarle e ringraziarle, e questo la dice davvero lunga sulle capacità di una sinistra di classe di “capire il momento”, cogliere un evento simbolico come pochi altri (la morte di un operaio durante la lotta), sottraendolo alle logiche esclusivamente sindacali, generalizzando quella protesta che, altrimenti, è già scomparsa dai media e dall’interesse della popolazione. Senza questo “passaggio di consegne”, il sindacato da solo è largamente insufficiente a rappresentare e organizzare una rabbia sociale che deve divenire politica, deve trovare uno sbocco politico in grado di dargli prospettiva. Purtroppo, abbiamo capito che molto difficilmente sarà così: già oggi la notizia è scomparsa da ogni media, e da domani tutto tornerà come prima, con gli operai (e i sindacati conflittuali) lasciati soli nelle loro lotte vertenziali. In compenso, grandi dispute su facebook e twitter illuminavano sulle strade giuste da seguire, iniziavano la critica senza sconti a chi manifestava (cioè, per il 95%, operai migranti), consigliavano sui processi delle lotte, si chiedevano perché non ci fosse il fuoco nelle strade né qualche morto padronale in arrivo, sentenziavano sul carattere “riformista”, “massimalista”, “rinunciatario”, “debole” eccetera della mobilitazione operaia, si accaloravano sul “fare come in Francia”, “fare come in Grecia”, “fare come in Spagna”, “fare come in Kurdistan”, “fare come in Turchia”. Un chiacchiericcio di sottofondo che descrive bene la sinistra italiana del XXI secolo, la sinistra social.