La drôle de guerre libica
La montagna di menzogne e di lacrime di coccodrillo della stampa mainstream nazionale non tocca mai il fondo e la storia della nostra partecipazione all’aggressione neocoloniale alla Libia ne è un esempio. L’ipocrisia del finto buonismo del nostro giornalismo, tranne alcune eccezioni, è molto spesso patetico, ridicolo e a volte rivoltante. Questi “professionisti della comunicazione” entrano così bene nella parte dei finti tonti che viene da pensare alcune volte che siano convinti delle cose che scrivono. Prendiamo ad esempio il Corsera del 6 agosto, che attraverso il suo inviato (Lorenzo Cremonesi) afferma:
“Difficile fare le cose giuste nella Libia prostrata, destabilizzata e litigiosa del dopo Gheddafi. Qualsiasi posizione si prenda, qualsivoglia azione alla ricerca del consenso per la pacificazione nazionale si metta in pratica, ci sarà sempre una parte cospicua delle infinite tribù e fazioni in cui è diviso il paese che per motivi diversi si opporrà nel modo più determinato”.
Il giornalista constata una cosa evidente: lo Stato nazionale libico non esiste più e non sarà certo il fantoccio di turno, il “conciliatore” Serraj, messo dagli americani, viste anche le modalità con cui si è insediato, una vicenda degna della migliore commedia del ridicolo, a cambiare la situazione a breve e medio termine
Ma poi oltre a questa constatazione, traspare il vero ragionamento neocoloniale secondo cui l’Occidente è, in questi paesi, la soluzione e non il problema; la solita narrazione secondo cui il consesso “democratico” occidentale interviene per dividere le popolazioni litiganti o per liberarle da odiosi regimi, perché in fondo non hanno ancora acquisito il modus di vita occidentale e non hanno ancora raggiunto uno standard democratico. Omettendo il ruolo criminale delle stesse potenze che ben cinque anni fa compivano, con l’alibi del sollevamento popolare, l’aggressione e la distruzione dello stato libico, sovvenzionando e armando tutti i gruppi islamici del Nord Africa in funzione anti-Gheddafi. Cosa che si è ripetuta anche in Siria, ma dove l’operazione di spappolamento non è andata secondo previsioni.
La Libia è ormai una torta già tagliata, frantumata in precise aree di influenza tra americani, inglesi, francesi e anche italiani. L’intervento americano punta in realtà a giocare un ruolo di primus inter pares per l’immediato futuro e l’opposizione del Parlamento di Tobruk all’intervento americano dice anche delle divisioni interne con l’alleato francese, protettore di quest’ultimo, che è l’altro paese fortemente interventista, con una solida tradizione neocoloniale in tutto il Nord Africa e che fu in prima fila nella deposizione di Gheddafi del 2011 in Libia. E gli italiani?
Sembrerebbe, dalla stampa nazionale, che noi nella partita libica ancora non ci siamo entrati, e per giustificare questa posizione vengono messe in atto molte operazioni di disinformazione, attraverso le solite forme procedurali: l’omissione, l’alterazione dei fatti e la minimizzazione del nostro agire.
In realtà il governo Renzi nella partita libica è ben presente e, come dice Guido Olimpio, l’esperto dei servizi per conto di Repubblica, “l’Italia gioca su vari tavoli”.
Avevamo già evidenziato la posizione italiana, quando ci era parsa illuminante l’intervista all’ex presidente di Eni Scaroni in cui parlava di una Libia unita come di un “sogno impossibile” e che anzi bisognava pensare a una divisione della scatola di gas e petrolio, pensando a una Tripolitania indipendente. Ci sembra che la realtà vada in quella direzione e che il governo Renzi cerchi di mantenere solo un apparente profilo basso; certo non teme le resistenze interne (assolutamente irrisorie, di fronte alle decisioni di questi ultimi giorni e ai bombardamenti americani) quanto piuttosto Bataclan nostrane. La sua è solo una strategia comunicativa, in realtà secondo le informazioni opportunamente silenziate, da mesi in terra libica intervengono gruppi speciali delle forze armate italiane e i servizi segreti che addestrano le milizie di Tripoli alla guerra contro le fazioni islamiche. D’altronde non siamo noi profani a dirlo, ma il direttore della Rid (Rivista italiana di difesa) Pietro Batacchi, quando affermava qualche mese fa che “la presenza di forze speciali italiane, sotto catena comando PCM [Presidenza del Consiglio dei Ministri], con Haftar, non mi stupisce, lo sarei stato del contrario”, ma oggi la situazione è andata avanzando, i nostri prodi militari sostengono attivamente anche le milizie di Tripoli e Misurata. Insomma, la commedia svolta in Parlamento dalla Ministra della Difesa Pinotti, che ha riferito sui fatti libici e la sua scontata autorizzazione ad eventuali decolli di droni da Sigonella, arriva come un fatto già vecchio e superato dagli eventi, visto che la guerra sporca, sotterranea e occulta del nostro paese in Libia in collaborazione con gli americani va avanti da mesi.
Detto questo non sarà certo la strategia comunicativa soft del governo Renzi, che omette e oscura il nostro ruolo in Libia attraverso l’informazione di regime, che impedirà al nostro paese di essere un campo di battaglia. Dobbiamo essere coscienti che questo scenario è possibile e ci sono dei responsabili politici chiari. Lo avevamo denunciato nella scorsa primavera: il nostro paese è in guerra, per propria volontà.