Dei complotti e della restaurazione in Turchia: cronache di un controgolpe dal pugno di ferro.
Abbiamo visto tutti le immagini delle centinaia di “golpisti” nudi, ammassati gli uni sopra gli altri con le mani legate dietro la schiena. “Golpisti” perché effettivamente non sappiamo se tra questi ci siano solamente i fautori del colpo di stato di qualche giorno fa: migliaia tra arrestati, epurati e dismessi. Parliamo di soldati, agenti di polizia, giudici e procuratori e ora anche gli insegnanti. Sono i numeri di una repressione su larga scala che colpisce tutta la società. Gli impiegati statali reduci dalle epurazioni sono stati richiamati dalle ferie e gli è stato negato l’espatrio. E’ dichiarato lo stato di emergenza in Turchia per i prossimi tre mesi: uno stato di emergenza con cui le province a maggioranza curda convivono da tempo.
Qualcuno parla di liste già pronte: quello che è sicuro è che un politico come Erdogan, ha sempre le liste pronte di teste da tagliare non appena la situazione lo permetta. Molti parlano di autogolpe: come se Erdogan avesse architettato il tutto da solo tipo “grande vecchio” turco. Al di là che si sia trattato di gulenisti, che l’appoggio o comunque il beneplacito degli Usa sia fondato (non desterebbe poi molti sospetti visto il silenzio iniziale degli Stati Uniti riguardo al golpe e la crescente tensione tra questi e lo stato turco), che Erdogan abbia strumentalizzato gli accadimenti (fatto alquanto probabile) non possiamo permetterci di abbandonarci a teorie complottiste. Abbandonarsi a teorie che presuppongono una realtà manovrata da un grande burattinaio capace di muovere da solo le sorti di migliaia e milioni di persone, significa ridurre la realtà delle complicate articolazioni della dialettica di classe a una verità di facile consumo su cui però appare totalmente inutile quanto impossibile incidere. Significa rinunciare a comprendere e ad agire. Ci troviamo davanti un mosaico complicato di relazioni politiche e sociali che vedono alcune tendenze accelerarsi a seguito della lunga notte del tentato golpe. Procediamo con ordine.
Non possiamo non sorvolare sul ruolo dei lupi grigi, i fascisti dell’MHP organizzati in vere e proprie bande punitive. Questi nella società turca hanno praticamente il ruolo delle nostre organizzazioni di estrema destra, delle bande Stern israeliane, dei nazisti utilizzati durante il colpo di stato nazi-europeista che si è recentemente abbattuto sull’Ucraina. Attaccano quotidianamente i militanti e le organizzazioni di sinistra e le minoranze come i curdi: in pratica fanno il lavoro sporco per i padroni. Più che lupi sono i cani da guardia del regime di Erdogan e quest’ultimo è stato ben contento di sguinzagliargli contro i nemici politici di sempre per fare piazza pulita, forte del trionfo sul golpe. Un ruolo ancora più accentuato, saltato agli “onori” di cronaca ma che di fatto non rappresenta niente di nuovo sotto al sole per la Turchia.
Un altro importante fattore sociale di cui ci siamo sorpresi, è emerso parlando con compagni turchi: il problema della leva militare obbligatoria è tutt’altro che secondario, sia perché la Turchia possiede uno degli eserciti più forti e numerosi nella Nato, sia per il coinvolgimento nel conflitto civile siriano, sia per l’uso strumentale che ne viene fatto nei confronti di compagni e curdi. Questi vengono mantenuti ai gradi inferiori e utilizzati come carne da macello, preferibilmente mandati nelle zone calde dei conflitti, costretti a sparare sui propri affetti: molti si trovano a disertare, a fuggire in altri paesi per non sparare, alcuni si ribellano e vengono “rieducati”, altri semplicemente spariscono… altri ancora non ce la fanno e si suicidano. Tra chi è in età da leva militare serpeggia il timore di venire chiamato a rimpiazzare i numerosi soldati fatti fuori con le epurazioni del controgolpe. Ovviamente per i più giovani di noi, la realtà del servizio militare è totalmente sconosciuta ma fa assolutamente parte del sistema della moderna Turchia degli anni 2000.
Fa parte della società Turca proprio per le basi su cui questa vuole basare le sue politiche di espansione a livello regionale, aspirando a un ruolo sempre più importante: è questa aspirazione particolaristica della Turchia dell’Akp all’interno delle convergenza politica sulla Siria di Usa, Israele, Arabia Saudita e Qatar che sta poi alimentando la contraddizione che vediamo in questi giorni. La rimonta di Assad mentre tutti lo davano per spacciato sta mettendo seriamente in crisi la strategia medio-orientale di questi paesi. Oltre alle voci di corridoio sul rifornimento e addirittura la partenza di alcuni caccia usati dai golpisti dalla base militare di Incirlik, riportiamo le dichiarazioni del giornale israeliano Haaretz, il quale ci comunica che Akin Ozturk, l’organizzatore del colpo di stato, ha prestato servizio nei territori palestinesi occupati dal 1996 al 1998. Oltre a quelle che restano notizie che sarebbe interessante vagliare, la diplomazia aggressiva tenuta dalla Turchia riguardo alla protezione americana di cui gode Gulen e la chiusura della base Nato di Incirlik per qualche giorno evidenziano un braccio di ferro in corso. Le dichiarazioni possibiliste sull’estradizione dell’Imam dei gulenisti, le prese di posizione rituali sul rispetto della democrazia di Stati Uniti e Germania lasciano presagire una trattativa dai toni piuttosto conflittuali in cui forse una delle parti, in un modo o nell’altro di è esposta troppo.
Un’altra questione su cui non ci sentiamo di poter sorvolare è l’accentuazione forzata del processo di islamizzazione portata avanti da Erdogan negli ultimi anni. Abbiamo scritto nel precedente articolo come le piazze che sono scese a sostegno del governo fossero totalmente diverse da quelle che hanno animato Piazza Taksim: il Presidente turco ha chiamato a raccolta le squadracce dei lupi grigi, i militanti del partito, coloro che hanno goduto in qualche modo delle politiche islamiste e di liberalizzazione dell’Akp. Le folle che abbiamo visto in televisione si sono radunate nelle moschee sotto il grido di richiamo dei maggiori imam: non è che un caso che Erdogan sta fondando sempre di più il suo potere sulla religione e meno sull’esercito, arrivando a snaturare la concezione stessa dello stato turco, nato dalla secolarizzazione messa in atto da Atatürk. E il cosiddetto clero religioso chiede un conto che arriva poco alla volta giorno per giorno, incoraggiato da un substrato sociale fedele. Ulteriore segno del ruolo sociale ma anche di strumento di legittimazione/delegittimazione politica che la religione ha giocato e continua a giocare in questo golpe è che sono stati negati i funerali religiosi agli autori del golpe.
Tutto questo non è naturalmente privo di effetti sull’economia: la lira turca si è indebolita e la Banca centrale turca, invece di sostenere la moneta, ha abbassato di poco i tassi per facilitare l’accesso di liquidità da parte delle banche in modo da far fronte alla situazione di incertezza favorendo gli investimenti. Stiamo parlando di una lira in caduta del 5% subito dopo il colpo di stato, con un leggero rialzo lunedì scorso. Questo però potrebbe comportare un abbassamento dei rendimenti per gli investitori stranieri e dunque una fuga di capitale dalla Turchia, il che comporterebbe un’ulteriore caduta della lira verso il basso. Senza contare che lo stato turco vede un deficit delle partite correnti, fattore che potrebbe ulteriormente aggravare la situazione. Un altro fattore negativo sull’economia turca è il calo di afflusso per quanto riguarda il settore del turismo a seguito degli ultimi attentati e dei recenti accadimenti. Gli effetti delle politiche di Erdogan, dopo anni di crescita economica con qualche intoppo, si fanno sentire sulle tasche del paese. Anche le epurazioni degli ultimi giorno andranno inevitabilmente ad intaccare i meccanismi economici turchi.
La Turchia che vuole entrare nell’Unione Europea, mentre tutti gridano scandalizzati contro il paventato ripristino della pena di morte per i golpisti e puntano il dito contro le immagini dei raid punitivi contro i fautori del colpo di stato è un ridicolo gioco delle parti in cui non c’è una “democrazia” meglio di un’altra. La Turchia di questi giorni è la stessa che i nostri governi hanno corteggiato per anni, la stessa che hanno eretto come baluardo dell’ordine nel Medio-oriente contro Assad e altri stati canaglia. La stessa con cui continuano a fare affari tutt’ora. Diciamocela tutta: al di là delle belle parole, la Turchia di Erdogan, anche se da bacchettare, rimane un interlocutore a pieno titolo nelle politiche economiche e guerrafondaie internazionali. E’ sempre piaciuta e continuerà a piacere alle potenze occidentali…almeno fino alla prossima “primavera araba”.