Esperienze a confronto dalle periferie in lotta
Ripartiamo dalle periferie: questa è stata la ragione profonda che ci ha guidato nel lavoro dell’ultimo anno, insieme ad altre strutture che hanno dato vita alla Carovana delle periferie. Un lavoro faticoso, dove il necessario “grigio lavoro quotidiano” si coniuga con il senso di una riflessione più generale sui nostri compiti politici, con uno sguardo sempre attento alla dimensione generale del problema che abbiamo davanti: il radicamento sociale. La Carovana è un tentativo sperimentale, per molti versi inedito, di lavorare dall’alto e dal basso.
Siamo convinti che non può esistere alcun lavoro dal basso, anche radicato e vitale, senza una prospettiva generale, come non può funzionare alcun intervento dall’alto senza una spinta direttiva dal basso, delle varie espressioni sociali più o meno organizzate. La sfida che la Carovana mette in campo sta nel trattare queste due spinte con una tensione e con un equilibrio tenendo sempre conto che queste due pressioni sono un’energia che produce e induce partecipazione, organizzazione, combattività e soprattutto riconoscimento nella classe, che è la cifra del radicamento nel mondo della periferia, che non è solo più un fatto meramente geografico, ma assume i connotati di fatto politico, di un’antropologica opposizione (per ora largamente non cosciente) alla “città vetrina”, alla città dei grandi eventi, internazionalizzata e spersonalizzata. Questa è la sfida che la Carovana cerca di raccogliere: ricostruire nella città dis-urbanizzata un’organizzazione sociale di massa. Un movimento fatto di militanti, di simpatizzanti, di attivisti di quartiere, di reti sociali, sedi e lavoro territoriale quotidiano. Non si parte da zero, l’esperienza si sta accumulando e il campo deve essere ben seminato se si vuole concretamente sperare di raccogliere qualche frutto. Questa è la fase del fare, del costruire occasioni di mobilitazione per rendere la massa critica un fatto sociale e politico. Questo tentativo di costruire un attivismo metropolitano dove si coniughino le figure del militante sindacale, dell’attivista territoriale, del militante politico, è un esperimento positivo, che può dare qualche frutto nel prossimo periodo. E che, soprattutto, può essere riprodotto in contesti diversi. La Carovana, in questo senso, punta ad essere anche un metodo di lavoro.
Ci aspettano mesi intensi. Da una parte la prossima giunta comunale, qualunque essa sia, dovrà fare i conti con una città di fatto fallita, con una situazione di indebitamento che avrebbe fatto tracollare qualsiasi altra città ma non Roma, perché l’impatto politico e simbolico di questa evento sarebbe poco gestibile. I vincoli del pareggio di bilancio che impongono anche alla governance capitolina di attenersi ai dettami del governo Renzi e della Commissione europea, suggeriscono che la condizione generale delle periferie non certo è destinata a migliorare. Senza parlare della privatizzazione dei servizi pubblici locali che, grazie al decreto collegato alla riforma della Pubblica amministrazione del ministro della Funzione pubblica Madia, sarà il vero cavallo di troia con cui si procederà dall’alto, bypassando le amministrazioni comunali, alla depubblicizzazione dei servizi a rete, dei servizi di rilevanza generale (acqua, gas, luce, rifiuti, trasporti pubblici), con la presenza pubblica che sarà sempre più sussidiaria, secondaria, residuale: un’economia pubblica che servirà a mettere le toppe ai processi di disintegrazione liberista, accumulando debiti per conto delle aziende private. Dall’altra la condizione delle periferie, che con queste premesse sono destinate a un sensibile peggioramento, a una marginalizzazione ancora più profonda, col rischio che le sirene reazionarie e fasciste che soffiano sul fuoco della disperazione, dell’insicurezza sociale e della paura possono produrre mobilitazione e incanalare l’insofferenza verso il capro espiatorio del rifugiato o dell’immigrato che ruba il lavoro ai romani.
La situazione romana, come d’altronde anche quella napoletana per altri versi, assume quindi una connotazione molto particolare, dove si concentra potenzialmente una bomba sociale e dove la governance ordoliberista potrebbe entrare in crisi, anche grazie alla possibile sconfitta del gestore principale di questa politica in città: il Pd di Matteo Renzi. Ma la partita non è solo cittadina, quanto soprattutto nazionale, a partire dalle due grandi questioni che sono sul tappeto da qui all’autunno: la prima che possiamo definire tranquillamente la madre di tutte le battaglie è il referendum costituzionale, che in realtà è il referendum pro o contro il governo Renzi; l’altra è il punto del proseguimento del processo delle privatizzazioni.
Su questa base parteciperemo alla riunione nazionale di sabato 28 al centro sociale Corto Circuito, per discutere con i compagni di altre città sulla periferia e la crisi, su come contrastare il processo delle privatizzazioni dei servizi pubblici cittadini e trattare il nodo della ricostruzione di un blocco sociale nelle nostre metropoli. Per capire se è possibile un metodo di lavoro comune e progressivo, che tenga in conto delle differenze dei vari contesti ma che sappia darsi un orizzonte di mobilitazione comune.