Le ragioni del voto contro
Nonostante il compagno F. abbia provato in tutti i modi ad autoescludere l’a-sinistra residuale dal novero delle scelte compatibili, quelle che puntualmente richiamano all’ordine schiere animate di maleminoristi dei quartieri bene della Roma rosé, grazie al Consiglio di Stato non vivremo l’emozione di vedere compagni sperduti nell’unico momento di visibilità che conta: quello di farsi contare. Sarebbe stata di gran lunga l’azione più radicale prodotta nel campo della sinistra riformista da anni a questa parte. Peccato. Come però detto in precedenza, queste elezioni assumono un valore tutto particolare, perché avvengono nel cuore della lotta renziana per l’affermazione stabile del suo soggetto politico, lotta che vedrà il suo momento culminante nel referendum costituzionale di ottobre. Un’affermazione che può e deve essere combattuta con ogni mezzo necessario, perché causa primaria della contorsione ordoliberista in corso oggi in Italia, che impedisce in nuce ogni possibile resistenza, che normalizza un paese adeguandolo agli standard di sviluppo anglosassoni.
Questo significa che esiste una concreta differenza politica tra i soggetti in campo? Ci mancherebbe altro. Giachetti, Marchini, Meloni e Raggi condividono, con accenti diversi, una visione del mondo e dei rapporti sociali in buona sostanza speculare. E la condividono non in base a valutazioni ideali, che pure avrebbero un loro peso, ma valutando concretamente il governo dei territori messo in campo laddove queste forze governano effettivamente. Il famigerato “blocco lepenista”, alla prova del governo nei numerosi comuni dove amministra, non è altro che l’esecutore, magari recalcitrante, dei diktat imposti (e a suo tempo votati) dal governo e dalla Ue. Il Movimento 5 Stelle è un contenitore contraddittorio e ambiguo, senza vera forza alle spalle che non sia l’esposizione mediatica dei suoi leader, che non ha soluzioni credibili ai problemi romani e infatti attende in silenzio una vittoria che parrebbe al momento scontata.
Esistono delle differenze secondarie, che pure assumono rilevanza in termini di agibilità politica – ad esempio un’affermazione del “blocco lepenista” guidato dalla Meloni non è la stessa cosa rispetto alla vittoria di altri candidati, perché complicherebbe notevolmente la possibilità di fare politica in città per la sinistra antagonista. Ma anche in queste elezioni il mondo del lavoro rimane senza rappresentanza. La presenza marginale del Partito Comunista di Rizzo rientra in quel voto di testimonianza che testimonia, appunto, l’irrilevanza sociale della sinistra, che spera di aggirare tramite le elezioni l’assenza nei territori e nei posti di lavoro. Più che testimoniare un’esistenza, certifica un’irrilevanza, e forse in casi come questo farsi contare non è la scelta più saggia, soprattutto se non si hanno le possibilità di incidere in alcun modo sul risultato generale. Le elezioni sono d’altronde uno strumento che fotografa dei rapporti di forze, non li costruisce, sebbene da un ventennio abbondante certa sinistra tenti la lotteria elettorale per risorgere dalla società piuttosto che rappresentarla. Confondere le cause della propria irrilevanza (la scomparsa sociale) con gli effetti (la scomparsa elettorale) è da anni il nodo che impedisce ai soggetti politici della sinistra di prendere atto del proprio fallimento.
Impossibile, allora, dare un voto per qualcuno. Questo il motivo per cui la nostra scelta elettorale sarà ancora una volta quella dell’astensione al primo turno, per rimarcare una distanza sempre meno colmabile tra gli interessi dei lavoratori, dei senza casa, dei migranti, delle periferie, e quella dei soggetti politici che anche in queste elezioni ci chiederanno il voto guardando al centro, della città quanto dello schieramento politico e dell’ordine economico. La nostra astensione varrà anche al ballottaggio, un ballottaggio che vedrà, almeno stando ai sondaggi, la sicura partecipazione del M5S di Virginia Raggi. A differenza delle altre tornate elettorali, però, questa assume una particolarità concreta con la quale fare i conti. Se l’obiettivo è quello di destrutturare, anche elettoralmente, il potere del Pd, sfruttare qualsiasi mezzo necessario per scardinare un’egemonia politica ancora fragile e controversa, colma di tensioni interne e internazionali, allora l’eventuale ballottaggio tra Virginia Raggi e Roberto Giachetti non potrà essere derubricato a mero fatto interno alla borghesia. E’, al contrario, un passaggio centrale, e le nostre possibilità di (r)esistenza passano anche attraverso la sconfitta del soggetto democratico. Per tali ragioni ci sembra poco credibile (e poco in sintonia con gli umori popolari del paese e della città), voltarsi dall’altra parte, fare finta che tutto stia sullo stesso piano dei rapporti di forza. Per questo, ad un eventuale ballottaggio tra M5S e il Pd, noi voteremo contro il Pd. Senza appoggiare niente delle proposte elettorali del M5S, la posta in gioco in questo caso sarebbe far perdere il Partito democratico, ed è nel nostro interesse contribuire all’eventuale sconfitta.