Il male comune
Ciò che distingue in modo decisivo il marxismo dalla scienza borghese non è il predominio delle motivazioni economiche nella spiegazione della storia, ma il punto di vista della totalità.
György Lukacs
Ecco, la totalità, come direbbe Lukacs. Ci avviciniamo alle elezioni romane del 5 giugno rischiando di perdere per strada il senso profondo di elezioni che mai come quest’anno assumono una valenza politica generale. Ecco perché sono elezioni diverse da quelle degli ultimi anni, e di conseguenza anche l’approccio dovrebbe essere diverso. Una semplice astensione oggi avrebbe un carattere politicamente meno efficace rispetto all’obiettivo principale che caratterizza questa fase politica e che si concluderà, almeno nel breve periodo, con il referendum costituzionale di ottobre: la sconfitta del Pd. A Roma come nel resto d’Italia è questo il problema oggi: scardinare l’egemonia politica di un soggetto neodemocristiano attorno a cui si sono saldati gli interessi economici principali della borghesia transnazionale, europeista, detta all’antica: imperialista. Un voto romano che assume una chiara valenza nazionale, dunque, ma non solo. Anche concentrandoci nelle vicende cittadine, la sconfitta del Pd (e del “pidismo”, insieme di interessi economici, soggetti sociali e riferimenti culturali a cui si sta adeguando anche una certa destra, quella berlusconiana rappresentata in città da Marchini o a Milano da Parisi) ci sembra l’obiettivo da raggiungere, a prescindere da chi fosse chiamato a sostituirlo. Perché anche, e forse soprattutto, a Roma il Pd è il partito del potere economico costituito, dei grandi e piccoli costruttori, del “terzo settore” attraverso cui passa la destrutturazione del mercato del lavoro e dei servizi, delle cooperative utilizzate come strumento di potere e di controllo nelle periferie, il partito di riferimento delle forze dell’ordine, delle istituzioni culturali, della chiesa cattolica, il partito insomma di Mafia capitale. Giachetti e Marchini, in questo senso, incarnano davvero l’ordine sociale in città, quello stabilito dalle forze economiche che oggi puntano sulla privatizzazione delle grandi aziende municipalizzate. Costituiscono, nello spettro già degradato dell’offerta politica cittadina, il nemico principale, capaci più di altri di imporre una pacificazione delle istanze sociali e politiche, di gestire la fase di privatizzazione senza quelle contraddizioni che altri soggetti si porterebbero inevitabilmente dietro. Le contorsioni della destra hanno portato alla formazione di un blocco definito mediaticamente “lepenista”, in buona sostanza il riciclo della destra fascista romana di An, peraltro distribuita anche nel centrodestra di Marchini, visto l’appoggio di personaggi come Storace o Mussolini. E’ meglio dire subito che tra Giachetti, Marchini e Meloni non esiste un male minore, che la perversione liberale del “fronte comune” contro le destre, se aveva un valore negli anni Novanta, oggi è completamente scardinata, disattivata, annullata da uno scenario che impone un “male peggiore”, il Partito democratico. E’ d’altronde il gioco a cui sta giocando Renzi, quello di presentarsi come unica forza “responsabile”, che magari non entusiasma ma che è sicuramente più credibile dei vari populismi dell’opposizione. L’opposizione funzionale di Salvini è d’altronde funzionale proprio in questo: nel rafforzare retrospettivamente il potere renziano, elevandolo a unico governo possibile. Vent’anni di retorica “menopeggista” hanno spalancato le porte al liberismo centrosinistro, hanno legittimato a sinistra le innumerevoli svolte a destra compiute dal Pds-Ds-Pd attuate in nome del “fronte comune” contro “le destre”. Mai come oggi questo è allora proprio il discorso ideologico da smontare, un discorso d’altronde già rifiutato dalle periferie e che attanaglia semmai ancora qualche militante politico in ritardo sui tempi e sulla realtà.
Avremo modo nei prossimi giorni di analizzare più in profondità il significato generale di queste elezioni e i soggetti in campo. La lunga battaglia per la sconfitta renziana del referendum di ottobre passa oggi attraverso le elezioni amministrative, un dato che dobbiamo cogliere soprattutto per ritrovare la sintonia con quelle fasce popolari che da tempo rifiutano qualsiasi ipotesi liberista, che sia centrosinistra o centrodestra. Oggi vota nessuno si trasforma in vota contro: contro il Partito democratico.