Il degrado cittadino e il processo di privatizzazione dell’economia pubblica: parlano gli operai Ama
Riportiamo di seguito un intervento del Coordinamento Operaio Ama, gruppo di compagni-operai dell’azienda dei rifiuti municipale del quale facciamo parte. Un intervento dal di dentro della situazione gestionale e lavorativa della vicenda rifiuti, che smonta pezzo per pezzo le retoriche del volontarismo e della privatizzazione come soluzione dei problemi cittadini legati al degrado e al suo contraltare neoliberista, il decoro.
Roma e provincia si trovano attualmente in una profonda crisi ambientale: per anni lo smaltimento dei rifiuti si è basato esclusivamente sulla discarica più grande d’Europa – Malagrotta – che ha chiuso e non si ha alcuna alternativa concreta. Attualmente sono in funzione gli impianti Ama del Salario per la trasferenza (carico del rifiuto tal quale su tir che portano il rifiuto fuori regione), Rocca Cencia per trasferenza e il trattamento meccanico biologico (TMB) dei rifiuti solidi urbani (RSU) e l’impianto di compostaggio di Maccarese che tratta una percentuale irrisoria del rifiuto umido raccolto. Gli impianti di Malagrotta e quello a Rocca Cencia di Cerroni vanno in soccorso a quelli Ama. Parliamo di un’impiantistica non in grado di soddisfare le necessità di una città come Roma. Dobbiamo tener conto che delle 4000 Tonnellate di rifiuto indifferenziato raccolto (attenzione, non prodotto!) al giorno, Rocca Cencia riesce a trattarne 750, tutto il resto va fuori regione in impianti privati.
Le condizioni di lavoro di chi opera negli impianti sono delle più assurde, più volte i lavoratori hanno chiesto la messa in sicurezza dell’impianto, realizzazione di aree di lavoro necessarie alla manutenzione (magazzino e officina), formazione professionale adeguata e aumento del personale, potenziamento del sistema di aerazione, incremento di dispositivi di protezione (DPI)…e chi sta in strada a raccogliere i rifiuti non sta meglio. Anche solo piccoli guasti tecnici negli impianti producono continui rallentamenti con file interminabili di autocompattatori impossibilitati a scaricare.
Quotidianamente in media circa il 50% di camion sostano carichi dentro le autorimesse (da Piano Industriale Ama), di conseguenza anche i furgoni di zona rimangono pieni; a causa di questa situazione gli operatori sono costretti a lavorare in continua emergenza sanitaria a contatto con i rifiuti in putrefazione sparsi per strada, oggetto delle rimostranze anche violente dei cittadini e vittime dei luoghi comuni che ne offendono la dignità. Si parla spesso dell’accumulo dei rifiuti nei cassonetti: basti dire che se noi lavoratori rispettassimo alla lettera il regolamento se ne accumulerebbero molti di più! Anzi, visto il perenne malfunzionamento dei mezzi Ama, basterebbe anche qui applicare alla lettera il regolamento per non uscire a lavorare.
Nel frattempo in questi anni si susseguivano emergenze rifiuti create ad arte per far chiedere a furor di popolo la privatizzazione di Ama e nell’immediato poter usufruire in maniera arbitraria e (oggi sappiamo) criminale delle cooperative, il tutto sminuendo il servizio pubblico e soprattutto i lavoratori con attacchi mediatici. I lavoratori e le lavoratrici Ama soffrono fortemente la cattiva gestione aziendale, sia come utenti, sentendo in più la responsabilità sociale del lavoro effettuato, sia come operai, visto non solo l’aumento dei carichi di lavoro, ma anche le aggressioni verbali – e a volte anche fisiche – cui sono oggetto da parte di cittadini infuriati per i rifiuti accumulati accanto ai cassonetti.
Alla stampa mainstream non è mai venuto in mente che il problema potesse essere delle dirigenza. Ha sempre pensato ad attaccare gli operai; le argomentazioni usate risultano di una gravità assoluta, perché legittimano la creazione del capro espiatorio, del nemico comune: alla fine di tutto la colpa è di chi quella monnezza se la dovrà raccogliere busta dopo busta cassonetto dopo cassonetto, scansando topi e olezzi da far vomitare.
Colpire chi lavora significa continuare a difendere il marcio che è alla testa dell’azienda. Parliamo di dirigenti superpagati, capaci solo di creare un disastro evidente a tutti, di scelte nefaste, di un’incapacità storica di impartire un’accelerata sulla differenziata, di una gestione criminosa e del coinvolgimento nella creazione del monopolio Cerroni a Malagrotta.
Rispetto però il dibattito pubblico-privato noi ci siamo da subito estraniati perché non ci appartiene. La retorica della privatizzazione nasconde bene l’intenzione dei grandi gruppi industriali di metter mano sulle ricchezze del paese e di far profitto a tutti i costi. Quindi contraendo i salari, aumentando le tariffe degli utenti e come ci dimostrano i rifiuti sotterrati a Rocca Cencia, spesso fregandosene dell’ambiente. Ma comunque non saremo certo noi a difendere questo tipo di pubblico in cui ci si spartisce la torta in base all’amministrazione comunale del momento. La “lotta” contro la privatizzazione che i sindacati confederali fanno finta di sostenere è di una pochezza disarmante. È ipocrita far finta di non capire che essendo Ama una società per azioni è praticamente inutile riuscire ad avere l’assegnazione esclusiva dei servizi attraverso il Contratto di Servizio (CS) col Comune se poi il possessore unico delle quote può decidere in qualsiasi momento di vendere parti di queste quote. È ipocrita purtroppo anche far finta di non capire che, di nuovo, anche a seguito dell’ottenimento dell’assegnazione esclusiva del CS niente può fermare l’azienda da possibili futuri scorpori e spacchettamenti di servizi e/o strutture interne. Scindere privatizzazione e gestione aziendale è ridicolo e controproducente. Dire no alla privatizzazione e parlare solo in un secondo momento di condizioni di lavoro e servizio offerto è come difendere questo tipo di pubblico in cui ci si spartisce la torta in base all’amministrazione comunale del momento. Quindi come diciamo da anni, da quando è stato emanato il “Salva-Roma”, lo “Sblocca Italia”, è stato reso noto il “piano Cottarelli” ed ora il Documento Unico Programmatico (DUP), no alla privatizzazione! Ma bisogna anche andare oltre. Quello che dovrebbe proporre un sindacato serio è il mantenimento in mani pubbliche di Ama e anzi il ritorno alla gestione diretta dell’igiene urbana da parte del Comune a trasformazione di questa in azienda speciale del Comune insieme a l’eliminazione dell’impostazione verticistica aziendale. È del tutto traviante usare lo spauracchio della privatizzazione se poi la stessa privatizzazione è usata come arma nella contrattazione che punta a mettere in discussione il sistema di lavoro e le turnazioni, cercando di imporre la disponibilità oraria 7 giorni su 7 e h24, tagliando oltretutto parti di indennità (50%) legandole alla fantomatica produttività. Troppo spesso i confederali ci propinano la solita battaglia economista limitando i danni al nostro ridicolo salario cedendo in blocco alla flessibilità, il vero obiettivo dell’azienda. Chi comanda infatti ci vuole in pugno e ci vuole gestire al pari di scope e secchioni sfinendoci nel corpo e nell’animo.
Come utenti non va meglio. Il servizio offerto da Ama è pessimo e nonostante si attribuisca lo sfacelo al pubblico non funzionante, Ama in realtà e già privatizzata nei fatti. Come già scritto in precedenza, il trattamento dei rifiuti è praticamente affidato per più dei 2/3 del rifiuto raccolto ad impianti privati fuori regione, mentre la raccolta dei rifiuti differenziati degli esercizi commerciali (utenze che producono inevitabilmente molti più rifiuti di quelle domestiche) è sempre più spesso appaltato a cooperative private. Il perché di questa scelta è la più vergognosa; i lavoratori e le lavoratrici delle cooperative infatti essendo più ricattabili non possono tener conto della qualità del rifiuto e ritirano tutte le frazioni senza andare troppo per il sottile in caso queste siano inquinate. Questo rende felice il negoziante che può continuare a fregarsene di separare le varie frazioni, la cooperativa che viene pagata a peso di rifiuto raccolto, e i dirigenti Ama che in questa maniera possono andare in giro a raccontare la favola delle percentuali di differenziata sempre in crescita.
Ciò che bisogna imparare da queste vicende è, piuttosto, che l’inefficienza nell’amministrazione, gli sprechi nei bilanci delle aziende pubbliche si verificano proprio quando gli interessi dei privati si fanno predominanti. Quando i Cerroni, i Fiscon, i Buzzi o i Panzironi di turno fanno coincidere gli interessi dell’azienda con i loro; quando la gestione non punta più a garantire un servizio ottimale ma è asservita soltanto alle logiche del profitto di qualcuno. E a farne le spese è chi materialmente lavora nell’azienda, che si ritrova a dover lavorare in condizioni sempre peggiori e con sempre meno tutele, e chi usufruisce di questo lavoro, che si ritrova servizi sempre più scadenti e costosi. Questo a significare che nulla viene fatto nell’interesse di tutti finché è deciso da pochi.
Come dimostrano le continue problematiche riscontrate nel settore pubblico però, la statalizzazione di un’azienda da sola non basta se continua a basarsi su rapporti di produzione capitalistici in cui c’è un apparato dirigenziale/burocratico con poteri decisionali che non ha alcuna cognizione del lavoro materialmente svolto e delle problematiche e dei rischi che esso comporta, ed una base di lavoratori e lavoratrici che si limita a svolgere il proprio lavoro senza poter prendere alcuna decisione a riguardo, pur essendo l’unica a conoscerne ogni dettaglio. Il rispetto del servizio, delle lavoratrici e dei lavoratori, degli utenti e dell’ambiente può esserci solo attraverso un controllo popolare organizzato in comitati locali composti da cittadini/e e lavoratori/trici che abbiano potere decisionale e di controllo dei mezzi utilizzati per soddisfare i bisogni di noi tutte/i.