Visioni Militant(i)
Lo diciamo subito, di getto, il primo lungometraggio di Gabriele Mainetti è davvero un gioiellino. Uno di quei film che ti fa uscire dal cinema col sorrisetto sornione di chi ha la consapevolezza d’aver investito bene il suo tempo, le sue aspettative e, perchè no, anche i soldi del biglietto. Un aspetto che in tempi di crisi è tutt’altro che secondario. Eravamo entrati in sala spinti dalla curiosità e dal richiamo ad un Anime che ha segnato in maniera indelebile l’immaginario di chi ormai sta dalla parte sbagliata dei quaranta. Immaginavamo però che non si trattasse solo di un cinecomic all’amatriciana, ed infatti “Lo chiamavano Jeeg Robot” è di più, molto di più. Tanto che ci risulta davvero difficile incasellare il film in un ben preciso genere. E’ un film d’azione? Si. I “buoni” menano i “cattivi”, i “cattivi” menano i “buoni”, le guardie menano tutti… E’ un film fantastico? Anche in questo caso la risposta è ovviamente si, c’è il supereroe che con i suoi superpoteri fa cose impossibili, c’è il supercattivo… E’ un film “realista”? Ancora un volta, mentre scorrono in mente le immagini di Tor Bella Monaca, la risposta, anche se sembrerà strano, non può essere che si. E al tempo stesso è un film ironico, ma anche crudo e grottesco, in cui si intrecciano alcune sottotrame che pur se non completamente dipanate fanno comunque riflettere. Il regista evidentemente conosce bene sia l’universo dei comics che quello dei manga e gioca efficacemente con gli archetipi del genere. La storia inizia infatti col più classico degli stereotipi dei comics. Scappando dai “falchi” della squadra mobile Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria, ottimo), un piccolo criminale di borgata, si immerge nel Tevere, dove viene a contatto con alcuni fusti di materiale radioattivo. Una volta tornato nel suo quartiere si accorgerà ben presto di non essere più lo stesso, ma, contravvenendo al principio che “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” (l’Uomo Ragno), userà queste sue capacità per fare meglio quello che prima non gli riusciva bene, rubare. La scena in cui smura a cazzotti un bancomat è il sogno di tutti noi. Enzo, nonostante i superpoteri, rimane dunque quello che era prima, un asociale (“io nun c’ho amici”) e un misantropo (“a me la gente me fa schifo”) che suo malgrado sarà chiamato a confrontarsi con chi gli sta intorno. In una Roma scossa da misteriosi attentati sarà quindi costretto a prendersi cura di Alessia (Ilenia Pastorelli, vera), una ragazza fragilissima costretta a rinchiudersi in un mondo di fantasia dalle brutture della vita, e a fronteggiare “lo Zingaro”, una sorta di Joker di periferia interpretato dal bravissimo Luca Marinelli. Mentre su tutti incombe “il giorno delle tenebre, quando succederà un casino“. Evitiamo di raccontare di più per non togliere il gusto della visione a chi accetterà il nostro consiglio e andrà a vedere il film. Aggiungiamo però che la regia, così come la fotografia e la sceneggiatura, meritano davvero un plauso. Mainetti, e chi ha collaborato con lui, ha dimostrato che le idee e la passione permettono di creare ottimo cinema anche in assenza di budget stratosferici. E poi c’è la colonna sonora… anni 80, tutta al femminile… davvero strepitosa. Insomma, andate a vederlo, e andate a vederlo al cinema. Anche perchè, e questo lo abbiamo lasciato per ultimo, condividiamo in tutto e per tutto l’idea di fondo del film. Se un giorno un “supereroe” davvero verrà a salvare questa cazzo di città, è chiaro a tutti che non potrà che venire da Tor Bella Monaca, anzi, da Torbella, e che, volando tra lampi di blu, senza paura sempre lotterà. Daje Enzo Ceccotti, salvaci tutti… tu che puoi diventare Jeeg!