Il pessimo esempio dei “buoni cittadini”
Abbiamo più volte avuto l’occasione di prendere parola sul tema, sempre più ricorrente, dello stato di malversazione della città di Roma, dall’assenza di manutenzione delle strade e delle aree verdi alla scarsa qualità dei servizi pubblici e, più in generale, della vivibilità stessa della capitale. Attraverso il lavoro e le lotte della Lista dei Disoccupati e Precari del VII Municipio siamo riusciti ad individuare problematiche, responsabilità e possibili soluzioni che possano essere utili, tanto alla risoluzione di quest’annosa questione, quanto ad un allentamento del dilagante problema della disoccupazione massiva: gli scioperi alla rovescia, durante i quali i disoccupati di diversi quartieri (Cinecittà, ma anche Primavalle e Montemario) hanno riqualificato aree cittadine lasciate all’abbandono e al degrado, hanno voluto dimostrare che le due problematiche possono avere una risoluzione comune. Lo slogan che abbiamo agitato è stato proprio questo: il lavoro da fare sul territorio c’è, e anche i disoccupati disposti a svolgerlo, in modo dignitoso, equamente retribuiti e garantiti. Il problema, dunque, risiede tutto in un’evidente mancanza di volontà politica. Infatti le rivendicazioni che, all’interno del progetto di lotta della Lista Disoccupati agitavamo, erano chiare ma poco allineate a quelli che erano i progetti che i Governi (qui parliamo nello specifico dell’amministrazione capitolina, ma sappiamo bene che la direzione è nazionale e sovranazionale) avevano in serbo per il servizio pubblico.
Ma procediamo con ordine. La retorica galoppante sul malfunzionamento del servizio pubblico è ormai parte integrante dell’immaginario comune (vedi il successo del film “Quo Vado”), alimentato dalla gogna mediatica e giudiziaria abbattutasi sugli impiegati assenteisti o cosiddetti “fannulloni” (e ricordiamo la vicenda dei Vigili urbani assenti nella notte dell’ultimo dell’anno di ormai due anni fa), e puntando, dall’altro lato, sui principi della meritocrazia, della competitività e della produttività; la degenerazione di questo “sentire comune” è stata sotto gli occhi di tutti ed è, ancora oggi, all’ordine del giorno sulle pagine di cronaca: dipendenti, operai o autisti dei mezzi pubblici aggrediti e denigrati, lavoratori che hanno attirato su di loro il malcontento sociale dell’utenza che vive, sì, un disagio profondo nella gestione dei propri tempi e delle proprie condizioni di vita e lavorative, ma che non riesce ad inquadrare il gioco dei ruoli in campo, tra chi di questo disagio è responsabile e chi ne è vittima tanto quanto loro. La ricaduta consequenziale a questo ragionamento sarà, secondo l’ottica neoliberista, che nel momento in cui il pubblico non funzioni sarà necessario privatizzare; in altre parole, l’attuale modello dei rapporti produttivi ha interesse affinché il pubblico non funzioni (a causa della malagestione da parte della dirigenza e della mancanza di finanziamenti da parte degli organi governativi, certamente non perchè un impiegato si assenta alcune ore dal giorno di lavoro o perchè il macchinista della metropolitana si rifiuta di far prendere servizio ad una vettura non in regola) per poter porre come alternativa pronta il privato, più costoso, con meno garanzie e tutele, non curante della preminenza dell’interesse della pubblica utilità del servizio rispetto a quella del guadagno dell’azienda (come dovrebbero invece essere quelle pubbliche), ma votato piuttosto alla logica opposta, quello dell’estrema competitività nei servizi pubblici essenziali.
Questa lunga premessa è funzionale ad un’analisi, che vorremmo qui esporre, circa il recente fenomeno del volontarismo dei “buoni cittadini” che si attivano per la manutenzione e la riqualificazione dei territori, al fine di sopperire alle carenze del pubblico servizio, fenomeno ormai confluito per la maggior parte nell’associazione “Retake”, che pare riscuotere maggior successo nella città di Roma. Si tratta di cittadini che volontariamente si occupano di ripulire strade e aree verdi, ma anche di imbiancare i muri dei luoghi pubblici (metro, stazioni etc.) e rimuovere gli adesivi. Premesso il fatto che non riteniamo che il degrado di una città si rilevi dal quantitativo di scritte sui muri o di adesivi che vi sono attaccati, ma piuttosto dall’assenza di occupazione, servizi e manutenzione, il fenomeno in oggetto non va sottovalutato poiché perfettamente in linea con la logica neoliberista delle politiche governative degli ultimi anni, e perchè sta fungendo da iniettore di dinamiche e scelte politiche che altrimenti apparrebbero inusitate e impopolari. Lo denominiamo “fenomeno” poiché abbiamo più volte assistito, nell’ultimo periodo a partire dal famoso articolo del New York Times sul problema del degrado e dei rifiuti nella capitale, ad una levata di scudi da parte dei “buoni cittadini” (tra cui diversi personaggi famosi ed esponenti politici) a difesa del decoro della propria città, sdoganando la logica per cui sono i cittadini a dover sopperire alle mancanze delle pubbliche amministrazioni e aziende; coerentemente con gli interessi di cui si fa portatore, anche la portata mediatica, pubblicitaria e di sponsorizzazione nelle scuole che ha riscosso è stata sproporzionata. Ma c’è di più: è di pochi giorni fa la notizia che, dopo collaborazioni e protocolli d’intesa con Confcommercio e, badiamo bene, con LUISS ENLAB (il più grande acceleratore di start up in Italia), Retake Roma e AMA hanno firmato un protocollo d’intesa per la manutenzione delle aree cittadine della capitale. Di cosa parliamo nello specifico? I volontari di Retake si propongono di offrire fino a cinque interventi mensili, a titolo totalmente gratuito, nelle aree bisognose di manutenzione, con l’ausilio di AMA che si limiterà a fornire loro l’attrezzatura necessaria e a smaltire i rifiuti solidi urbani prodotti. Sostanzialmente dunque l’AMA, municipalizzata in crisi e in via di privatizzazione (ricordiamo le proteste degli operai e della lotta del COA, che abbiamo attivamente supportato) esternalizza uno dei servizi di propria competenza e lo affida ad un’associazione di volontariato, sottraendo mansioni lavorative ai propri dipendenti ed usufruendo di “operai a costo zero”, peraltro privi di assicurazione (Retake solleva AMA dalla responsabilità e dall’indennizzo in caso di infortunio dei propri volontari). Da un lato si sottraggono competenze (e possibilità di lavoro che, solo teoricamente, dovrebbe essere retribuito e tutelato) alla municipalizzata, dall’altro si sdogana la logica neoliberista per cui, quando il pubblico non funziona, sono i cittadini dotati di buon senso civico a dover sopperire con opere di volontarismo, senza domandarsi nè chi sarebbe competente ad assolvere questo compito, nè che tipo di lavoro stiano svolgendo e in quali condizioni, nè tantomeno (lungi da noi l’intenzione di ergerci a difensori del sistema tributario, profondamente iniquo, sproporzionato e mal gestito) per quale motivo si debbano versare ingenti somme nei cassetti tributari per usufruire di un servizio svolto dagli stessi cittadini a costo zero. E il tutto, quando finanche il poliziotto-prefetto-commissario Tronca ha evidenziato nel Dup come al Comune di Roma e alle sue aziende municipalizzate manchino strutturalmente ottomila (8.000) dipendenti, la causa primaria del malfunzionamento cittadino anche rispetto alla questione “decoro urbano”. Infine ci preme evidenziare il tentativo di falsa spoliticizzazione dell’associazione Retake che, mentre con una mano agisce avallando le politiche governative, con l’altra tenta di sviare il dibattito politico sulle elezioni amministrative capitoline e sul programma di governo della città ripiegando sul problema del tappezzamento in città dei manifesti elettorati. Al buon cittadino che è pronto a lavorare gratuitamente prendendo il posto del pubblico operaio, al contrario incompetente o svogliato (quando non precario, non garantito, privato del diritto di sciopero o in via di licenziamento o mancato rinnovo contrattuale), non interessa che la città di Roma sia commissariata e che il futuro sindaco abbia le mani legate (anche se dubitiamo di un’eventuale volontà politica) rispetto al programma di governo della città, già previamente stabilito all’interno del Dup linearmente alle direttive politiche europee. L’importante è che la città non venga riempita di manifesti elettorali (il nome della campagna è “non votare chi sporca”, unica discriminante nella scelta della propria preferenza elettorale). Guardare il dito per non guardare la luna.