Lo spettro del Regina Elena vaga per la metropoli
Otto anni fa, nell’estate del 2007, dopo aver abbandonato uno stabile occupato pochi giorni prima sito in via Catania, centinaia di famiglie in emergenza abitativa entrarono temporaneamente nei padiglioni dell’ex ospedale Regina Elena, abbandonato dieci anni prima, lasciato all’incuria, al degrado vigliacco, insulto permanente alle coscienze e ai bisogni della città governata trasversalmente da una mafia di cui le inchieste di questi mesi ne descrivono solo la patina sacrificabile. Quella soluzione temporanea si trasformò nella più grande occupazione d’Europa, circa mille persone che per due anni sconvolsero la politica cittadina, tanto nel piccolo della vita quotidiana del quadrante piazza Bologna-Università, quanto nel grande della questione abitativa romana. Occupammo anche noi insieme al Coordinamento cittadino di lotta per la casa.
Due anni dopo, nel settembre 2009, ci svegliammo alle 6.30 circondati da decine di blindati e centinaia di celerini in assetto antisommossa. Fu *lo sgombero* per eccellenza, quello attraverso il quale la junta Alemanno provò a risolvere con la forza la questione abitativa e il rapporto di forze con i movimenti di lotta per la casa. L’aria era cambiata, la stagione dei piccoli Odevaine al tramonto, al paradigma dell’accordo tra politica cittadina e spazi sociali (paradigma controverso, frutto di una politica di compromesso ma anche di una forza politica dei movimenti di cui tener conto, determinata dall’onda lunga di Genova e di quella stagione di partecipazione e mobilitazione a suo modo epocale), subentrava la violenza di un Alemanno deciso a sostituire gli amici altrui con i propri. Il resto è storia nota, sia nelle cronache giornalistiche che in quelle giudiziarie.
Sei anni fa, a seguito dello sgombero e del successivo assalto poliziesco all’occupazione dell’Otto marzo a Magliana, scrivemmo che quello stabile, emblema post-moderno della ritirata dello Stato e del pubblico dal governo dei territori, veniva consapevolmente riconsegnato all’abbandono (qui). Gli esilaranti tentativi dell’allora rettore Frati – il rettore più indagato della storia della Sapienza (vedi qui e qua, ma anche qua) – di farci credere che i padiglioni servivano urgentemente all’istituto di Ematologia, facevano onore alla fama del personaggio: quella di gran cazzaro, se non fosse che tra i suoi proclami e la realtà non corresse la vita di migliaia di senza casa, di migliaia di malati in attesa di un ospedale, e tanti altri eccetera.
Eravamo d’altronde facili profeti. Nessuno meglio di chi trovò in quei padiglioni abbandonati la propria sistemazione abitativa conosceva la realtà dei fatti. Quella di reparti abbandonati da dieci anni con dentro macchinari ancora potenzialmente funzionanti; quella di intere corsie in cui marcivano cartelle cliniche, mobili, strutture ospedaliere di vario tipo. Un degrado determinato da una volontà, quella di lasciar deperire una struttura sanitaria pubblica. Se infatti il problema erano i soldi, almeno i macchinari sarebbero stati spostati, utilizzati altrove, donati, smantellati, venduti, eccetera. Che di lì a qualche mese quello che non si era fatto in dieci anni si potesse fare in dieci mesi era pura demagogia volta a criminalizzare gli occupanti, dipinti come l’impedimento principale a riattivare i servizi pubblici. Era evidente a tutti che lo sgombero doveva servire a generare profitti speculativi per la solita impresa edilizia. Il classico favore che si deve a chi ha contribuito ad eleggerti.
Oggi, meritoriamente, se ne accorge pure Repubblica: “Ex Regina Elena, spreco da 1,6 milioni l’anno”. Tutti i padiglioni continuano a rimanere vuoti, e sono passati sei anni dallo sgombero e sedici (sedici!) dalla chiusura delle attività ospedaliere. Sei anni dopo, noi avevamo ragione e loro continuano ad avere torto. Per quanto vivere dentro l’ex Regina Elena non era la soluzione, evidenziava due tipi di problemi: il primo, a Roma c’è un problema casa; il secondo, centinaia di migliaia di metri quadri di strutture pubbliche marcivano nel degrado. Oggi questi due problemi continuano a rimanere: Alemanno se n’è andato, gli amici piazzati nello spoil system capitolino praticamente tutti in carcere o indagati, gli occupanti ancora in giro a lottare per una casa. E quella serie di palazzi tra via Regina Elena e via del Castro Laurentiano ancora, desolatamente, abbandonati. Di certo a Gramazio&soci, protagonisti all’epoca della richiesta di sgombero, non mancherà nei prossimi mesi il tempo di pensarci un po’ su.