Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Costituzione italiana contro Trattati europei, di Vladimiro Giacchè

Consigli (o sconsigli) per gli acquisti: Costituzione italiana contro Trattati europei, di Vladimiro Giacchè

 

Da alcune settimane è uscito un agile opuscolo di  Vladimiro Giacchè  che tratta la relazione antagonista, la sostanziale incompatibilità tra il dettato costituzionale nazionale e l’impalcatura giuridica dei Trattati europei.  Ancora una volta non possiamo che essere stimolati da una lettura non semplificata del nodo politico che l’autore è capace di far emergere da questo lavoro. In poche pagine e con una prosa semplice ma non schematica, si centrano alcuni punti della costruzione politico giuridica della Ue, della struttura di comando sovranazionale che oggi elabora, definisce e fa ratificare dai governi nazionali le scelte strategiche di politica economica.

Non ci annoveriamo tra i nostalgici della defunta Costituzione, né abbiamo mai pensato che nel passato, ormai lontano, questa fosse applicata nelle sue parti più significative, anzi possiamo dire senza tema di essere smentiti che la parte più corposa, il contenuto più avanzato di questa Carta, sia stato sempre lettera morta. I principi fondamentali e la parte applicativa in relazione al diritto al lavoro, all’indipendenza nazionale, al rifiuto di ogni partecipazione ad avventure militari, sono state sistematicamente disattese, anzi, dalla fine degli anni ’70, il processo di revisione e di destrutturazione della Carta fondamentale ha iniziato a camminare prima lentamente e poi sempre più speditamente. Ciò è dovuto anche e soprattutto al drammatico declino delle forze sociali e politiche di classe che avevano reso possibile quello spazio di mediazione che la Costituzione aveva rappresentato dal dopoguerra in poi.

Detto questo, e premesso che la costruzione giuridica e normativa tendenzialmente, e in forma contraddittoria, ratifica e non precede le trasformazioni sociali e i nuovi equilibri politici, ma ne è anche  elemento costituente nel sistema economico-sociale,  non bisogna però fare l’errore politico di considerare il nodo del diritto, della norma, il vasto campo delle trasformazioni in senso legislativo-giuridico, come una cosa che non ci riguarda, da banalizzare, soprattutto in un momento storico in cui le classi subalterne subiscono continui arretramenti, senza uno straccio di rappresentanza politica. In questo senso l’opuscolo assume tutta la sua valenza.

Traspare nettamente dalla lettura la natura intrinsecamente liberista dell’Unione europea, della sua ragione di esistere, del progetto politico che sottende l’intera architettura dei Trattati europei, dell’accelerazione, data anche dalla grande crisi di questi anni, del carattere regressivo e antipopolare di questo processo sovranazionale contro le masse popolari del continente, e in questo senso l’esempio greco è paradigmatico.

Quello che ci interessa sottolineare, a rischio di ripetersi, è come l’intero impianto dei Trattati europei e della struttura politica, giuridica, amministrativa europeista non contiene in sé alcun carattere progressista, progressivo e popolare, e questo non da oggi ma sin dall’avvio del processo accentratore. Anzi essa è sintesi in fieri di un governo tecnocratico del grande capitale, conformazione di un polo Imperialista a guida tedesca-nordeuropea, interessato esclusivamente a guadagnare posizioni di vantaggio e di egemonia all’interno dell’ ordine liberista internazionale.

Da questo punto di vista Giacchè  mette un mattone in più nella destrutturazione della narrazione democratica e di una certa sinistra europea che per molti anni ha visto, e ancora vede per giunta e contro ogni evidenza data dall’esperienza greca, nell’Unione europea un segno di possibile democratizzazione  e di progresso. Una sorta di impresa nata con buoni intendimenti e finita male per cause contingenti o per appropriazione politica indebita delle opzioni liberiste. Proprio la disamina sul contenuto ideologico e politico dei Trattati Europei e il confronto con la Costituzione italiana, la più avanzata prodotta in regime capitalistico, sono una dimostrazione del carattere antipopolare di questa architettura politico giuridica.

Materialisticamente parlando non potrebbe essere diversamente. Visto che l’impianto giuridico della nostra Costituzione è il prodotto del movimento di trasformazione più profondo e incisivo della storia nazionale moderna, la Resistenza, e quindi è segnata da un’idea di società progressista, con elementi di forte progresso sociale, fortemente orientata in senso socialdemocratico; é espressione diretta del protagonismo operaio, contadino, rappresentato dal movimento comunista in grado di egemonizzare anche la visione politica dei soggetti non comunisti (ad esempio il Partito d’Azione). L’insieme dei Trattati europei, a partire dal Trattato di Maastricht del ’92 fino al Trattato di Lisbona del 2009, sono nettamente di segno opposto. Sono la consacrazione delle virtù assolute e taumaturgiche dell’economia di mercato nell’era della crisi generale del capitalismo, nella sua forma più aggressiva, la forma liberista e tecnocratica del grande capitale monopolista.

L’altro merito è che nell’opuscolo si toccano alcuni aspetti significativi di questo processo, quei momenti che hanno segnato la storia del nostro paese e che ancora oggi ne impediscono uno sviluppo in senso sociale. Il primo quando spiega succintamente l’origine dell’esplosione del debito pubblico nazionale, cosa non irrilevante , visto che la giustificazione su cui per decenni si è proceduto ad attaccare, smantellare pezzo dopo pezzo, diritti, stato sociale, lavoro, è stata la narrazione secondo cui  l’economia pubblica era fonte di indebitamento (“abbiamo campato al di sopra delle nostre possibilità”), mentre l’origine dell’esplosione di questa metastasi economica è data da due fattori. Il primo è strutturale, indipendente anche dalla dinamica nazionale e fa riferimento alla fine della spinta propulsiva dell’economia capitalistica mondiale databile intorno alla metà degli anni ’70; dall’altra, questa sì invece data da ragioni interne, alla decisione assunta nel 1981 di separare la Banca d’Italia dal Ministero del  Tesoro, rendendo la  Banca centrale un compratore fra tanti altri e perdendo così la funzione di contenimento e di calmiere sui tassi di interesse  pagati dallo Stato ai vari creditori presenti sul mercato dei capitali. Tale scelta fu conseguenza, come ricorda Giacchè, dell’entrata nel Sistema monetario europeo, progenitore dell’euro. Le ricadute economiche di questa scelta produssero, dagli anni ’80, l’esplosione di un enorme debito pubblico e ciò condusse il nostro apparato bancario e finanziario a cedere sovranità al nascente blocco costituente europeo.

L’altro punto, non contingente, a cui nel pamphlet giustamente l’autore dedica uno spazio centrale, essendo un passaggio di svolta politico e costituzionale, è il nodo dell’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio (la riforma dell’articolo 81), che è il punto finale di un lungo processo di esautoramento e ratifica della chiusura di ogni spazio di mediazione politica e sociale, in cui da una parte il meccanismo della gestione redistributiva è reso praticamente impossibile attraverso una ratifica costituzionale, e dall’ altra si palesa il carattere strutturalmente regressivo e antipopolare della struttura della Ue.

L’insieme delle misure e memorandum che sono state proposte in sede europea, approvate e ratificate dai conniventi parlamenti nazionali, sono la cartina di tornasole della fine di un’epoca politica, di una stagione della democrazia borghese, del secolo breve del riformismo socialdemocratico, della ricerca affannosa di un consenso organizzato e rappresentato. Questa epoca sembra a noi definitivamente tramontata, esaurita nella sua funzione storica di governo capitalistico dal “volto umano”, attento alla mediazione e alla politica concertativa in funzione strategicamente anticomunista.

Il tragico epilogo greco di quest’estate ci rimanda al tema centrale su come contrastare, inceppare, indebolire il governo oligarchico europeista e quale idea di società va pensata, costruita, ma soprattutto quali forze sociali sono  disponibili alla lunga e faticosa lotta per una nuova società. Non sarà certo possibile riproporre assetti politici e pensieri che appartengono a un passato estinto. Questo è l’unico dato certo.