Lobbisti del terzo millennio
Mentre nel triangolo Atene – Bruxelles – Berlino si discute delle sorti della Grecia, noi l’Unione Europea vorremmo ricordarla così, come fa candidamente il Sole24Ore in un articolo di qualche giorno fa. L’analisi di cui si parla è quella dell’EU Integrity Watch che riporta i dati sulla trasparenza relativi ai membri del Parlamento Europeo e all’attività di lobbying a Bruxelles – ossia la pressione su politici e referenti europei da parte di soggetti teoricamente esterni al processo decisionale – presentando la lista dei lobbisti, il numero degli incontri con finalità di lobby e il budget speso a questo scopo da ogni soggetto. Le organizzazioni iscritte al registro (che non sono tutte quelle che fanno lobbismo a Bruxelles) sono 7.821, di cui 4.879 favoriscono gli interessi delle aziende, mentre la parte restante è rappresentata da società di consulenza, Ong, università, sindacati, think tank e autorità locali. In pratica, il 75% (!) del pressing è di privati e proviene dall’industria, con 4.318 incontri con funzionari europei in 6 mesi. Quattromilatrecentodiciotto incontri in sei mesi, una media di 28 incontri al giorno, e ancora qualcuno ha dubbi su chi decida cosa nell’Ue. Nel “chi”, per essere più chiari, ci sono Microsoft, Google, Shell, Deutsche Bank e General Electric, giusto per citare quelli che finora hanno speso di più o che hanno avuto più incontri con le istituzioni. Gente con capitali paragonabili al PIL della Grecia e forse più voce in capitolo nelle decisioni europee. Tra le organizzazioni italiane invece la prima in classifica è ovviamente Confindustra, con 14 incontri con i referenti europei, e a seguire i gruppi energetici di Enel, Eni, Edison e soggetti come Unicredit, Intesa San Paolo, Mediaset, Slow Food, ABI e Ferrovie dello Stato (poi ci chiediamo della TAV…).
Se, come per definizione, i lobbisti sono i soggetti che portano gli interessi di una determinata categoria, di una comunità o di un settore, facendo pressione per ottenere benefici in termini economici e di scelte di policy, basta guardare alla lista delle lobby UE per capire su che tipo di interessi si basino le politiche europee. Quasi del tutto a carattere privato e con una copertura che spazia tra i settori di punta dell’economia italiana, dall’industria (compresa quella del cibo), all’energia, ai trasporti, alle banche.
Comunque, quello che colpisce di tutto ciò non è il fatto che le istituzioni europee recepiscano gli interessi dei gruppi industriali (mentre le istanze della popolazione sono affidate a rappresentanti di partiti eletti con meno della metà dei votanti). E sicuramente nemmeno che i lobbisti spendano anche 2 milioni di euro per quest’attività. Abbiamo sempre saputo che dietro al progetto Ue ci sono gli interessi di una borghesia europea in crescita. Quello che ci fa più specie è invece la sfacciataggine. Perché l’attività di lobbying non è una cosa cristallina e implica nella “migliore” delle ipotesi che le scelte di politica europea siano influenzate dagli interessi di specifici imprenditori, industrie, settori, con buona pace di chi è escluso da questo processo. Nella peggiore, che si crei un esercito di referenti europei corrotti. Per cui, quando sul sito si scrive che l’EU Integrity Watch contribuisce ad aumentare la trasparenza, l’integrità e la parità di accesso al processo decisionale dell’UE e a monitorare le istituzioni dell’Unione Europea per i potenziali conflitti di interesse, influenza indebita o anche per la corruzione, bhe, comprendiamo lo sforzo legalitario, ma non si rende il lobbysmo una cosa migliore. E’ come dire che ok, sappiamo tutti che il lobbying è una cosa torbida, al limite etico delle cose che si possono e non possono fare, però è tutto alla luce del sole eh, siamo gente onesta noi. Tipo come se uno froda il fisco però lo ammette pubblicamente e allora va bene, allora cambia tutto, si può fare.
Più che garantire la trasparenza, ci sembra che il progressivo, sfacciato, sdoganamento di questa attività serva solo a legittimare l’esistenza e la moltiplicazione dei gruppi di pressione sugli organismi europei. A maggior ragione che in Europa l’iscrizione alle liste di lobby è a carattere volontario per cui, come riporta lo stesso Sole24Ore, oltre alla pressione degli appartenenti alle liste, continueranno ad esserci organizzazioni non iscritte ma che fanno effettivamente lobbying. Ad esempio, secondo Trasparency International, oltre il 60% delle organizzazioni che hanno fatto pressione sulla Commissione Ue per l’accordo commerciale tra Ue ed USA (quella porcata del TTIP) non ha dichiarato queste attività in maniera adeguata. E, attenzione, questo non vuol dire che chi è iscritto alle liste faccia lobbysmo “buono” e chi non lo fa porti interessi “cattivi”. Perché per noi che sia Confindustria, Enel, Google o qualsiasi altro soggetto a fare lobbying, il problema non sta nelle modalità ma nell’effettivo modellamento delle politiche europee – e a cascata nazionali e regionali – sulla base degli interessi privati di una classe dominante, che non saranno mai i nostri.
Popolo greco, quanti motivi dobbiamo dare ancora per farti dire quel no?