Lo sgombero di SCuP e ‘na giunta de cazzari
Ieri la città di Roma ha vissuto l’ennesimo sgombero, l’ennesimo atto di prepotenza che si inserisce in un contesto politico che potremmo osare definire “delicato”, non fosse altro che questa delicatezza è in effetti frutto di una strategia politica che da alcuni tempi (non proprio l’altro ieri) ha aperto un nuovo fronte di lotta tra amministrazioni e lotte sociali. SCuP rappresenta un’alternativa credibile di intendere gli spazi lasciati al degrado e alla speculazione, e forse proprio per questo motivo le continue minacce di sgombero si sono trasformate in un’insensata operazione di demolizione che ha scosso non tanto e non solo il corpo militante di questa città ma la gente dell’Appio-Latino che ne era parte attiva e integrante. Nel pomeriggio di ieri, come saprete, una mobilitazione dal basso ha riportato le insegne di SCuP nel quartiere, a Via della Stazione Tuscolana. Nell’augurare buon lavoro ai compagni e alle compagne, ci vorremmo soffermare su alcuni aspetti di questa vicenda che ormai non solo non possono essere più taciuti ma meritano di essere denunciati a voce alta.
L’amministrazione Marino a giugno festeggerà 2 anni di governo, ma i regali di questa opzione politica, che molti anche alle nostre latitudini considerarono e considerano la meno peggio, stanno già da tempo bussando alle porte dei movimenti e delle lotte di questa città. È bene quindi fare un po’ il punto della situazione, ricordando anche come durante questo periodo di governo Pd-Sel siano anche stati nominati il nuovo Questore D’Angelo (quello che all’insediamento dichiarò «La nostra sfida è sulla sicurezza e sulla percezione della sicurezza»), il nuovo Prefetto Gabrielli e Alfonso Sabella come nuovo Assessore alla Legalità.
L’attuale giunta in meno di due anni ha calcato il pugno sui movimenti in maniera molto più determinata di quanto avesse fatto il suo predecessore Alemanno, quello della celtica al collo e dei saluti romani in Campidoglio. È la giunta che ha sgomberato Angelo Mai, Teatro Valle, Rialto Sant’Ambrogio, Volturno Occupato (con la combo della demolizione degli interni), salvo poi straparlare di cultura; la giunta sotto il cui governo si sono inasprite le politiche di sfratti per morosità, i distacchi di un bene primario come l’acqua (a causa della vergognosa contesa Roma Capitale-Acea) e ha trovato via libera con piacere l’applicazione dell’art.5 del decreto Lupi, salvo poi scoprire che Ozzimo (Assessore alle Politiche abitative prima del rimpasto) sull’emergenza abitativa c’ha speculato con gli amici dell’inchiesta Mafia Capitale; l’amministrazione che a meno di 3 settimane dall’insediamento ha caricato 1000 persone che reclamavano casa e blocco degli sfratti a Piazza Venezia, che ha sgomberato con cieca violenza l’occupazione abitativa della Montagnola, che ha disperso un picchetto anti-sfratto a Centocelle lanciando lacrimogeni dentro un intero condominio (episodio per cui 5 compagni sono ancora sottoposti a firme 3 volte a settimana) e gassando indiscriminatamente chiunque ci vivesse, che ha sgomberato con cacce all’uomo le occupazioni “giovanili” di NeetBloc e Godot; l’amministrazione vicina ai movimenti che però mette per la terza volta i sigilli al Corto Circuito e dopo 12h esegue il blitz a Via Nola, l’ex immobile che il progetto SCuP aveva salvato da mafie e spartizioni (qui l’inchiesta che proprio il progetto SCuP aveva pubblicato in occasione del suo terzo compleanno).
In particolare sullo sgombero di ieri ci sembra siano due gli elementi di particolare interesse. Prima di tutto la doppia operazione Corto Circuito/SCuP avviene in un quadro che risente ancora molto del clima post-Milano, di quel senso di indignazione ipocrita su cui il Pd milanese e quello nazionale (compresa Roma) hanno in qualche modo costruito la richiesta di maggior fermezza e determinazione, un serrare i ranghi non solo intimato alle agenzie di controllo e ai dispositivi di sicurezza ma anche ad un’opinione pubblica che è sempre più assuefatta dai temi del decoro urbano e del degrado, e che alla lotta miope ed indiscriminata alle okkupazioni vede la soluzione ai problemi che attanagliano la città. In secondo luogo, la demolizione e l’uso delle ruspe segnano un passaggio simbolico di notevole importanza, legato a quella lunga ed affannosa rincorsa alla destra che inneggia istericamente alla legalità e alla reazione questurina. Fu Matteo Salvini ad invocare le ruspe per i campi rom come soluzione finale e vincente, in quella perversa confusione del rapporto causa-effetto che in Italia tanto piace (vedi affondamento barconi davanti le coste libiche). Questa giunta, debole nei suoi rapporti interni e nelle idee politiche, le aveva giù utilizzate meno di un mese fa per “restituire” al litorale romano le spiagge finite sotto il controllo di “cosche mafiose”, cioè quelle stesse relazioni pericolose che sono sfuggite di mano al Partito Democratico e che hanno portato alla fine dell’era Tassone e al commissariamento da parte di Stefano Esposito (senatore Pd, autore del libro “TAV Sì”). Le ha messe in moto anche ieri (peccato però che non vi fosse nessuna ordinanza ad autorizzarle), demolendo di fatto un immobile per evitare che venisse rioccupato, lasciandosi alle spalle anche il problema di giustificare una simile mossa. Non interessa il consenso al Pd, interessa solo andare dritti per la propria strada – come insegna a Palazzo Chigi anche Renzi.
Ma il problema vero di questa situazione, al di là di quanto detto finora, è l’assenza della politica e il sostanziale commissariamento del Comune da parte della Prefettura (ricordiamo a questo proposito le parole del neo Prefetto Gabrielli che dichiarò al Corriere di avere «una formazione sbirresca»). Dopo lo sgombero di ieri il vice-sindaco Luigi Nieri ha provato a prendere parola sui suoi profili Facebook e Twitter, salvo poi essere sommerso da critiche che lo hanno messo in evidente imbarazzo.
Ma è proprio su alcune parole di Nieri che vorremmo riflettere nel chiudere questa riflessione. In particolare ci ha fatto pensare molto la rassegnazione con la quale il vice-sindaco ammetteva di non sapere perché la Questura avesse agito, di non avere responsabilità perché c’era una ripartizione di competenze che in qualche modo lo esonerava da ogni colpa. Siamo di fronte ad un’amministrazione che ragiona fuori da una dialettica politica, che singhiozza decisioni prese dai diversi compartimenti stagni che la compongono e che la dirigono. Un’amministrazione diluita in una divisione dei poteri decisionali in cui sostanzialmente un dirigente come un vice-sindaco non conta nulla.
Bene, se questo è lo stato dell’arte e se questi dovrebbero essere (per l’ostinazione di molti) i referenti dei movimenti, dobbiamo provare a ragionare fuori dai giri di parole e con i dati in mano. Chi ha fatto carriera sui movimenti, chi sta lì ed esprime solidarietà ipocrita a giochi fatti ma senza mai mettere in discussione se stesso e la linea del proprio partito, che ruolo svolge se non quello di procrastinare in più a lungo possibile la propria permanenza e mantenere il proprio salario? Chi ci dice che i movimenti devono avere queste sponde, come fanno a non accorgersi di quello che certe realtà partitiche fanno quotidianamente a Roma, Milano e in tutta Italia? Come si fa ad ignorare tutto questo in nome di un esperimento cittadini e territoriali elaborati con chi compromette il senso stesso del definirsi movimento? Noi crediamo che la fase attuale imponga di porsi, fuori da logiche ipocrite, queste domande. Perché il problema delle relazioni pericolose con le istituzioni, lungi dal dover essere affrontato come tabù o come scelta strategica, pone la questione di quale voce esprima quella rappresentanza. E per noi, ad oggi, chi guarda in quella direzione non si accorge di essere solo; mente a se stesso incoraggiandosi ad andare avanti, a naso turato, perché non si ha il coraggio di ammettere che oggi non è il 2004 e la riproduzione di ceto politico non è movimento.