Il sinistra sociale di Giuliano Pisapia
Fra scandali, grandi eventi, sparatorie e boutade elettorali, Milano è oggi al centro della cronaca politica del paese. La città lombarda rispecchia pienamente il senso di rovina che avvolge il paese Italia, e il suo sindaco ne rappresenta pienamente l’apice. L’intervista rilasciata al Corriere della Sera del 15 aprile chiarisce l’ineffabile weltanschauung politica delle forze della sinistra socialdemocratica. Una visione pienamente in linea con la controrivoluzione neoliberale in corso. Siccome Giuliano Pisapia viene da Democrazia Proletaria prima, Rifondazione poi, e oggi al governo della città tramite Sel (non un parvenu dell’ultima ora insomma), e siccome Sel è il socio di maggioranza della “coalizione sociale” di Landini, le sue parole vanno pesate anche per interpretare l’indirizzo politico di un contenitore che vorrebbe dare rappresentanza alle forze “a sinistra” del Pd. Insomma, Pisapia non è un Fassina qualunque, è uno che in certi meccanismi decisionali conta, e contano ancor di più le sue parole.
Parole come queste: “Certo, con la crisi la povertà è aumentata. Ma molti immigrati si integrano. Guardi il sito di Expo: la maggior parte dei lavoratori sono extracomunitari. Senza di loro l’Expo non si farebbe”. E’ evidente che senza extracomunitari l’Expo non si farebbe, perché senza di loro gran parte del ricatto lavorativo alla base del laboratorio Expo – trasformatosi poi in Jobs Act – non sarebbe stato possibile, visto che la costruzione dell’Expo si basa sulla deregolazione contrattuale sostanzialmente illegale ma sanata da un decreto governativo. Una vera e propria zona free trade in cui multinazionali e governo possono sperimentare forme di liberismo senza diritti che ricorda molto da vicino le zone speciali della costa cinese.
Di fronte alla domanda “che cosa si aspetta dall’Expo”, il Nostro replica senza timori: “Si può davvero arrivare a venti milioni di visitatori”. Così, senza vergogna. Per Pisapia, cioè per un pezzo rilevante di sinistra “a sinistra” del Pd, l’Expo si traduce in un’apologia del lavoro migrante dequalificato, senza garanzie contrattuali, e nell’esaltazione del dato quantitativo legato ai flussi turistici. Nessuna problematizzazione del significato delle grandi opere, nessun accenno alla questione lavorativa (su cui pure la “coalizione sociale” vorrebbe fondarsi), nessuno spunto sul ruolo delle multinazionali del cibo, men che meno sul ruolo che i finanziamenti europei all’agricoltura hanno nell’impoverimento delle altre aree mediterranee extra-Ue, come il nord Africa e il Medio Oriente.
Per non dire del ruolo svolto da Eataly e da Slow Food, avanguardie della narrazione renziana: “Con Slow Food noi della giunta e altri volontari ospiteremo nelle nostre case oltre mille pescatori e campesinos, altri saranno accolti dalla Curia”. Non solo un fastidioso approccio cattolico alla questione (ospiteremo mille straccioni così ci sentiamo tutti con la coscienza pulita), ma la difesa di un associazione, quale Slow Food, complice delle politiche sociali del governo Renzi (cioè dello smantellamento del settore pubblico in favore del privato, meglio se cooperativo; della riforma delle pensioni; della riforma del mercato del lavoro definita Jobs Act; dell’abolizione dell’articolo 18; dell’attacco al sindacalismo; eccetera: questo il nuovismo esaltato dalla coppia Petrini&Farinetti). Per chiudere, di fronte alla domanda sulla svendita del patrimonio pubblico milanese in mani private (pure il Corriere dubita della bontà dell’operazione, per dire), e in particolare a palazzinari e “sceicchi”, risponde con un laconico: “per me gli immobiliaristi non sono nemici; sono interlocutori con cui si può collaborare”.
Giuliano Pisapia è completamente inserito nella controrivoluzione liberale in atto nel mondo della sinistra. Un cedimento costante alle retoriche immateriali post-moderne con cui interpretare la realtà sociale. Neanche dal più fervido sostenitore della post-modernità avremmo potuto sentire parole di questo calibro: “Lei scrive che Milano è la vera capitale d’Italia. E Roma?” chiede il giornalista. “Non è una mia opinione: lo dicono tutte le statistiche. Milano è prima per car sharing, per bike sharing e per co-working[…]Per i diritti: registro delle unioni civili, testamento biologico, fecondazione eterologa[…]”. Un manifesto post-strutturalista deleuziano non avrebbe espresso meglio il senso di alterità col mondo reale, fatto di sfruttamento, precarietà, disoccupazione, de-industrializzazione e via dicendo in cui è immerso il sindaco milanese. Mentre Milano e il resto del paese rovinano verso un futuro fatto di disoccupazione costante, di bassa crescita, di tendenze sempre più marcate alla guerra, di impoverimento generale, Pisapia si rallegra per il successo della sua città nel bike sharing. Come si direbbe a Roma, levateje er vino.