Il trionfo della reazione

Il trionfo della reazione

 

Davvero non si capisce come possa essere considerata una sconfitta dell’estrema destra la tornata elettorale francese di ieri. A ben vedere, si tratta di un trionfo storico, attenuato solo dal carattere provinciale di un elezione che, se fosse stata nazionale, avrebbe decretato la scomparsa di ogni possibile opzione progressista. Non è tanto il dato generale ad essere indicativo: Ump e Front National aggregano più del 60% dei voti totali, un’enormità; non è neanche il risultato del partito di Marine Le Pen il dato significativo: un 24,5% dei voti che comunque stabilizza la sua formazione come secondo partito del paese (e considerare il 24,5% un risultato inferiore alle attese dimostra meglio di tanti discorsi quanto il partito reazionario francese si sia affermato come soggetto politico credibile e potenzialmente maggioritario). E’ il significato politico del discorso populista ad essersi imposto. L’Ump di Sarkozy ha raggiunto la ragguardevole cifra del 36% rincorrendo la retorica reazionaria del FN, parlando di immigrazione, di euro, di Islam, di identità nazionale. E chi non lo ha fatto, chi non ha (in)seguito il discorso dominante, è stato sonoramente bocciato nelle urne. Non è Sarkozy ad aver fermato Le Pen, ma il Front National che ha stabilito un ordine del discorso ormai inaggirabile per ogni partito presente in Francia, almeno per soggetti che vogliono puntare ad una riuscita elettorale. Il Front National ha avuto la capacità di vincere, almeno per il momento, una battaglia delle idee imponendo una propria egemonia culturale sull’intero sistema politico francese. Affermare che questo rappresenti una “sconfitta” significa guardare il dito mentre l’evoluzione dei rapporti politici, non solo francesi, ci racconta della luna.

L’ennesimo dato proveniente dalla Francia, per certi versi un laboratorio della reazione europea a cui guardano numerosi altri soggetti similari sparsi per il continente, ci dice molto anche per la politica di casa nostra. Ci dice che bisogna ormai saper parlare di argomenti considerati tabù; che una parte rilevante della popolazione – e significativamente la sua parte più popolare – ha bisogno oggi di strumenti politici e culturali in gradi di suscitare un’opposizione al sistema di potere individuato nella UE e in quelle politiche nazionali giudicate contigue o prone al neoliberismo europeista. Per quanto in forma alienata, l’adesione alla proposta reazionaria del FN e di questo Ump ci racconta di un rifiuto generale per una visione politica. Non è l’adesione alla reazione, al neofascismo o al razzismo di questi partiti, quanto la richiesta di aiuto da parte delle fasce deboli dei paesi europei, in fase di progressivo impoverimento. Paradossalmente, questo humus socio-culturale potrebbe favorire anche risposte progressiste in senso radicale. E’ lo stesso terreno su cui ha lavorato Podemos in Spagna, che proprio ieri ha confermato la sua forza determinata proprio dall’essere giudicata “fuori” e “contro” il sistema dei partiti che ha costruito questa Unione Europea. Se oggi è un giorno nero per le prospettive progressiste, almeno francesi, non è detto che tale generale insoddisfazione popolare non possa rivolgersi verso posizioni di estrema sinistra, se solo questa fosse in grado di contenerle e rappresentarle (e soprattutto di organizzarle). E soprattutto, con un’astensione al 50% le possibilità di recuperare il rifiuto popolare per un sistema politico-economico ci sarebbe tutte. Non è un sistema bloccato quello in cui viviamo, tanto in Francia quanto nel resto d’Europa. Siamo immersi in una pluralità di sistemi estremamente fluidi, in cui la capacità, in teoria, di contendersi il consenso si presenta più aperta del passato per formazioni politiche esplicitamente antagoniste. Le potenzialità, insomma, ci sarebbero. E’ il tempo che sta per scadere, e l’eventuale affermazione politica nazionale di una forza reazionaria come il FN potrebbe chiudere ogni speranza per la sinistra di classe di poter rappresentare la voce dei subalterni. Il tempo non lavora in nostro favore, e questo è il primo insegnamento che dovremmo apprendere dalle elezioni di tutta Europa.