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E’ uscito da qualche giorno un agile volumetto sul conflitto russo-ucraino a cura dello storico Eugenio Di Rienzo. La Rubettino non è certo una casa editrice di sinistra ed anche l’autore, almeno a giudicare da alcuni affermazioni sull’Unione Sovietica, sembra essere tutto fuorchè un trinarciuto emmelle, tanto da aver privilegiato nella sua analisi un’approccio eminentemente geopolitico e geostrategico. Eppure il libro nella sua sinteticità rappresenta uno dei testi più esaustivi (ed oggettivi) che ci sia capitato di leggere sull’argomento. Da attento storico Di Rienzo mette in fila una serie di “fatti” che hanno il pregio di restituire la giusta prospettiva a quanto sta accadendo in Ucraina, ribaltando la narrazione dominante appiattita sulla descrizione della Federazione Russa come paese aggressore ed espansionista. Il primo “fatto” innegabile è la “marcia verso oriente” intrapresa dalla Nato in aperta violazione degli accordi contratti dalle cancellerie occidentali con Mosca prima della riunificazione tedesca. Nei primi mesi del 1990 l’allora ministro degli esteri della RFT Genscher ed il segretario di Stato statunitense James Baker assicurarono che <mai e in nessun caso la giurisdizione della NATO e quella dell’Unione Europea avrebbero potuto estendersi alle nazioni dell’Europa orientale>. Eppure, dal 1991, la Russia ha visto arretrare la sua frontiera occidentale di quasi mille chilometri, dal confine tedesco occidentale alla frontiera con la Bielorussia. Mentre Albania, Croazia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Bulgaria, Polonia e Stati baltici, e a breve Moldavia e Georgia, tutti paesi una volta aderenti al Patto di Varsavia, sono diventati membri a pieno titolo dell’Alleanza Atlantica. Come giustamente scrive l’autore: per dare un giudizio oggettivo sulla legittimità della risposta politico-militare di Putin al terremoto di Kiev e alle sue conseguenze prossime e remote, bisogna comunque ricordare che la maggiore responsabilità per la creazione dell’imbroglio ucraino appartiene a Stati Uniti e Germania e in subordine agli altri “soci di minoranza” della NATO.
Come giustamente sottolinea Di Rienzo il colpo di stato di Majdàn Nezaleznosti, che la “gloriosa notte” del 23-24 febbraio del 2014 portò alla deposizione del “satrapo” Viktor Janukovic, è stato provocato dalle pressioni provenienti dai gabinetti di Berlino, Parigi e Varsavia. La Polonia, insieme con la Svezia e le repubbliche baltiche, ha spinto più di chiunque altro per favorire un accordo di associazione tra Ucraina e UE. Mentre meno appariscente, ma sicuramente più incisiva, è stata l’azione di Stati Uniti e Germania che deliberatamente hanno rinunciato a fare di Kiev un’intercapedine neutrale tra i Paesi della Nato e la Federazione Russa, dando origine ad una “little cold war” che rischia, giorno dopo giorno, di trasformarsi in una “great hot war”, e di perdere il suo carattere di competizione locale assumendo una dimensione globale, vista la posta in gioco della partita in corso.
Il secondo “fatto” su cui pone l’attenzione l’autore è, per l’appunto, che di questo nuovo “Grande Gioco” teso a mantenere l’egemonia degli imperialismi occidentali sulle economie emergenti, l’Ucraina rappresenta indubbiamente una delle pedine fondamentali. Lo è perché con i suoi 46 milioni di abitanti e i sui 700mila chilometri quadrati di estensione è il secondo stato più grande d’Europa. Lo è per la ricchezza delle sue risorse minerarie non ancora sfruttate così come per quelle risorse agricole che nel 2013 avevano spinto la Cina a voler acquisire oltre 3 milioni di ettari di fertilissime “terre nere”. Lo è per il passaggio di circa 40.000 chilometri di gasdotti che la collegano alla Russia e alla zona del Mar caspio e che soddisfano il 25-31% dei bisogni energetici dell’UE (e il 43% dell’Italia). Lo è da un punto di vista strategico perché condivide un lunghissimo e pianeggiante confine con la Russia, privo di ostacoli naturali e quindi fatalmente esposto ai rischi di una penetrazione militare. E infine lo è perché è padrona (o meglio, lo era) di due porti sul Mar Nero, Odessa e Sebastopoli, indispensabili per l’economia della Federazione Russa e unica porta d’accesso della flotta di Mosca al Mediterraneo e quindi a quell’area di fondamentale importanza geostrategica che va dalle coste dell’Medio Oriente all’Africa settentrionale e, attraverso il canale di Suez, al Mar Rosso, al Golfo Persico e all’Oceano indiano.
Di Rienzo sottolinea pure come la decisione di innalzare l’escalation militare ai massimi livelli non rappresenti una misura d’eccezione di fronte alla recrudescenza della guerra civile, quanto piuttosto una mossa pianificata da tempo, e nel farlo rimanda alla lettura del Russian Aggression Prevention Act of 2014, un documento ufficiale sul rafforzamento del fianco Est dell’Alleanza Atlantica presentato al Senato dal repubblicano McCain e di fatto reso operativo lo scorso 4 settembre a Newport. In occasione del vertice NATO tenutosi in Galles, Obama e Rasmussen hanno annunciato la costituzione di una forza d’intervento immediato che avrà cinque basi-deposito in Estonia. Lituania, Polonia e Romania e la cui forza d’urto sarà assicurata da una brigata di cavalleria meccanizzata statunitense e dalla dislocazione nei paesi dell’est di nuovi e più perfezionati sistemi missilistici. Altrettanto inquietante è la decisione passata quasi sotto silenzio di far partecipare velivoli polacchi all’esercitazione Steadfast Noon, partita dalle basi italiani di Ghedi e Aviano e il cui obiettivo era testare l’addestramento delle forze aeree di sette Stati Nato (tra cui l’Italia) alle operazioni di pianificazione e strike nucleare. In spregio all’impegno preso dalla NATO nel 1996 di non dispiegare ordigni nucleari nei paesi dell’Europa dell’est di nuovo ingresso nell’alleanza.
Infine l’autore ripercorre gli eventi che hanno portato alla trasformazione della “primavera ucraina” in una guerra civile aperta e guerreggiata con la proclamazione dell’indipendenza della Crimea e alla sua integrazione nella Federazione Russa (16 marzo) e con la nascita delle repubbliche popolari del Luhans’k oblast e di Doneck a cui hanno fatto seguito le atrocità della “guerra ai civili” scatenata da Kiev nel silenzio assordante delle cancellerie euroatlantiche. Di Rienzo prova dunque a “pesare” le conseguenze politiche che avrà la resistenza nel Donbass sul futuro ucraino ed anche se il testo si ferma al primo accordo di Minsk non può che constatare come la tregua si sia rivelata una vittoria totale per Mosca. Sia che i centri ribelli possano essere destinati a divenire uno “Stato nello stato” o ad evolvere in un “conflitto congelato” sempre sul punto di tornare “caldo”, Putin ha acquisito un eccezionale strumento di pressione per indebolire lo Stato ucraino e influenzare la sua politica estera per gli anni a venire visto che un conflitto civile irrisolto sarà un peso economicamente insopportabile per qualsiasi governo ucraino. D’altro canto, difficilmente la nomenklatura di Kiev potrà far fronte a questa situazione di emergenza senza l’appoggio economico e militare straniero e questo non potrà che determinare un sempre maggiore coinvolgimento diretto o indiretto della Nato e dell’UE. Nella “nuova Guerra Fredda” l’azione della Russia apparentemente espansionistica ed aggressiva si rivela dunque agli occhi dell’Autore e alla luce di un’analisi realistica, ispirata, invece, a una strategia eminentemente difensiva. Com’è stato scritto sulle pagine della rivista statunitense “Foreign Affairs”, difficilmente sospettabile di nutrire simpatie per il regime di Putin, gran parte di quanto sta accadendo nel cuore dell’Europa ricade sotto la piena responsabilità delle democrazie liberali: Gli Stati Uniti e i loro alleati europei condividono la maggior parte della responsabilità della crisi ucraina. Il nodo del problema è l’allargamento della NATO come elemento centrale di una strategia più ampia tesa a spostare l’Ucraina fuori dall’orbita della Russia e integrarla all’Occidente. Allo stesso tempo, l’espansione dell’Unione Europea verso est e il sostegno di Bruxelles al movimento democratico ucraino – che inizia con la «rivoluzione arancione» del 2004 – costituiscono altrettanti elementi di sovvertimento dell’ordine mondiale. Dalla metà degli anni 1990, i leader russi si sono fermamente opposti all’allargamento della NATO e negli ultimi anni hanno messo in chiaro che non avrebbero accettato passivamente la trasformazione di uno Stato confinante di massima importanza strategica, come l’Ucraina, in un bastione dell’Occidente. Per Putin, il rovesciamento illegale del Presidente dell’Ucraina, filo-russo ma democraticamente eletto – che ha egli ha giustamente etichettato come un «Colpo di Stato» – è stata l’ultima goccia. Putin ha risposto impadronendosi della Crimea prima che la penisola potesse ospitare una base navale della NATO, e decidendo di destabilizzare l’Ucraina fino a quando Kiev non rinuncerà al programma di entrare nel fronte occidentale. La reazione di Mosca era ampiamente prevedibile e tale da non riservare nessuna sorpresa. In fin dei conti, l’Occidente era entrato a piede teso nel cortile di casa della Russia per minacciare i suoi interessi strategici fondamentali”.
Il conflitto russo-ucraino/Eugenio Di Rienzo/Rubettino/10 euro