Grecia: tanto rumore per nulla.
Tanto rumore per nulla. Prendendo a prestito le parole del Bardo potremmo commentare così l’accordo raggiunto a Bruxelles tra il governo greco e l’eurogruppo. In cambio del sostanziale rispetto del famigerato memorandum Atene ottiene la proroga degli aiuti per altri 4 mesi e la promessa di non chiamare più troika la troika e memorandum il memorandum. Insomma, una “vittoria” semantica e cui fa da contrappeso una sconfitta economica. Poteva andare diversamente? Forse, ma in tal caso Tsipras avrebbe dovuto mettere sul piatto in maniera concreta la rottura dell’Unione Europea, ipotesi che fin da subito si è invece adoperato a smentire. E del resto quale sia l’orizzonte politico verso cui punta la barca di Syriza sembra chiarirlo efficacemente il ministro Varoufakis (il “marxista eccentrico” che piace all’a-sinistra che piace) in un documento che invitiamo a leggere con attenzione (qui) e in cui, parafrasando la Luxemburg, sembra ammonirci che la vera alternativa di fronte a cui ci troviamo è quella tra capitalismo e barbarie. E che dunque bisogna adoperarsi per stabilizzare il capitalismo europeo (sic). Del resto era evidente che, anche a fronte di un debito greco esiguo se considerato in termini assoluti (321,7 mrd di Euro), chi ha plasmato l’UE a sua immagine e somiglianza non avrebbe mai permesso una rimodulazione del debito come quella promessa da Syriza in campagna elettorale. Non fosse altro che perchè il giorno dopo ci sarebbe stata la fila degli altri paesi debitori. L’UE è questa e non è riformabile. E non per colpa della particolare perfidia di questo o quello Stato, ma del fatto che questo è l’unico modo in cui il grande capitale europeo può reggere lo scontro economico in uno scenario di crisi del processo di accumulazione. Non capirlo significa infilarsi in un vicolo senza uscita pretendendo di abbattere i muri a capocciate. A tal proposito riportiamo di seguito un articolo uscito oggi sul Sole 24 ore che, ahinoi, come spesso accade di questi tempi, sembra cogliere meglio di molte analisi “desinistra” alcune contraddizioni insanabili della costruzione del polo imperialista europeo. Buona lettura.
Doppiopesismo europeo e lacune democratiche. di Adriana Cerretelli.
A che cosa serve eleggere Alexis Tzipras e un programma di rottura con l’Europa della troika se poi non cambia niente e Tzipras è costretto a seguire le orme di Antonis Samaras, il predecessore deprecatoper gli eccessi i austerità che hanno travolto la Grecia? In breve, in una democrazia, indebitata dell’area euro vale ancora la pena di votare? L’ordine regna a Bruxelles il giorno dopo il sudato accordo politico tra Atene e i partner della moneta Unica. Sospiro di sollievo generale. Scongiurato il peggio, il default ellenico, allontanata l’ombra di Grexit e del salto nel buio. Salvaguardate regole e patti europei. La vera partita negoziale però comincia solo ora e si annuncia per tutti una nuova corsa ad ostacoli. Piena di insidie. Tutti hanno l’amaro in bocca, creditori e debitori: chi ha vinto, anzi stravinto, ma continua a non fidarsi del proprio successo perché continua a non fidarsi di chi ha sconfitto. E chi ha perso e fa finta di no, come Yanis Varoufakis: “Ormai sono finiti i tempi in cui le cose ci venivano imposte e non erano attuate. Ora saremo noi a decidere insieme ai nostri partner ristabilendo l’indipendenza nazionale della Grecia”. L’autodifesa del ministro delle Finanze suona patetica, se si mette a confronto il povero risultato con ambizioni e toni roboanti dell’inizio. Né smentisce questa istantanea dell’Eurogruppo, tornata prepotentemente in voga a Bruxelles subito dopo la capitolazione di Atene: Eurogruppo? Un tavolo intorno al quale siedono periodicamente 19 giocatori ma vince sempre unosolo, lo stesso, la Germania. Perché dunque affossare il centro-destra e affidarsi alla sinistra radicale se poi devono comunque governare allo stesso modo? L’interrogativo sul peso effettivo della dinamica democratica e sui suoi reali margini di manovra ai tempi dell’euro e del patto di stabilità non è certo nuovo. Ma la Grecia di Tzipras lo ripropone a tutti senza veli, perché la sua Grecia sovversiva e nazionalista esprime il primo vero rigurgito democratico contro il sistema-eurozona. Non sarebbe mai nata, quella Grecia, se l’Europa non se la fosse ottusamente allevata in seno con la cecità delle sue politiche tecnocratiche eccessivamente punitive, socio-economicamente insostenibili, politicamente suicide. Colpirne uno per educarne cento: l’Europa ha adottato la. Vecchia massima maoista nella speranza di bloccare il contagio: ieri come oggi Atene è la cavia ideale per neutralizzare sul nascere fermenti ribellisti e assalti all’ordine costituito dei vari Podemos, Sinn Fein, Front National, dei movimenti nazional-populisti. L’assunto di partenza è chiaro: nella gerarchia delle regole, quelle europee prevalgono su quelle nazionali. A maggior ragione quelle del patto di stabilità e consimili vanno rispettate a prescindere, non possono nella sostanza soggiacere agli incerti e ai malumori delle democrazie. Se l’Europa non fosse, come è, una proterva Unione di stati nazionali sovrani ma una vera entità federale dotata di una propria Costituzione, di una propria politica macro-economica e finanziaria e di un bilancio comune adeguato, il teorema potrebbe anche avere una logica inattaccabile. Non è così. Nel 2005 un tentativo di euro-Costituzione fu bocciato da Francia e Olanda e dimenticato. Nonostante, complice l’euro, l’interdipendenza tra Stati si approfondisca, in parallelo si accentuano spinte centrifughe e arroccamenti nazionalisti, soprattutto nell’euronord. Senza contare che le cessioni di sovranità restano ineguali. La Germania è l’unico paese la cui Corte costituzionale prende decisioni di valenza europea. Di più, il Bundestag è autorizzato a approvare o respingere le decisioni del Governo adottate in sede europea per verificane la conformità con la legge fondamentale tedesca. Governi, parlamenti e strutture democratiche, soprattutto dei paesi debitori, risultano invece sempre più “minorati” dai nuovi patti sull’euro-governance. Non a caso, e da molto prima che arrivasse Tzipras, la legittimità della troika è messa seriamente in dubbio. Fino a che punto però questo doppiopesismo democratico, questa eurozona di sovrani ineguali di diritto e di fatto è sostenibile senza provocare guasti irrimediabili alla convivenza europea e alla tenuta dell’ euro, che per durare ha tra l’altro urgente bisogno di unione economica e politica? Commissariata ieri come oggi, la Grecia sembra tornata all’ovile ma il suo profondo disagio europeo non può essere liquidato con un duro e semplicistico richiamo alla disciplina dei patti europei (forse un po’ più flessibili). La stabilità economico-finanziaria dell’euro è prioritaria per tutti ma non può prescindere dalla stabilità democratica e sociale dei paesi che lo compongono. Altrimenti, scongiurato il default greco, prima o poi arriverà quello europeo.