L’autunno di lotta tra opposizione al Jobs Act e finti scioperi politici
L’arma dello sciopero generale è sempre politica. Non è questa o quella vertenza ad essere in gioco ma la capacità del sindacato di incidere sulle linee guida della politica economica di un governo. E’ per questo che va letto attentamente lo sciopero generale lanciato da CGIL e UIL per il 12 dicembre. Un appuntamento richiesto espressamente da un pezzo di PD, quello ancora legato al sindacato collaborativo, e che avviene dopo la probabile approvazione del Jobs Act il 9 dicembre al Senato. Un appuntamento che non deve ingannare, allora. Essendo un’arma politica, è politicamente che va valutata. In primo luogo, la mobilitazione CGIL di questo autunno avviene per un motivo ben preciso, e cioè l’estromissione di questa dalla concertazione sui provvedimenti economici del governo. In secondo luogo, tale battaglia è supportata, quando non promossa direttamente, da un pezzo di PD, che vive su di un altro piano la stessa vicenda della CGIL: l’estromissione dal gruppo di potere nel partito di governo che decide nomine pubbliche, candidature elettorali, Presidente della Repubblica, dirigenti RAI e aziende amministrate dal tesoro. E’ in atto un terremoto politico guidato da Renzi contro un certo apparato politico e amministrativo, l’apparato che fino a pochi mesi prima gestiva le redini del partito. Il problema non è il Jobs Act: l’opposizione interna del PD sta chiedendo in questi giorni il ritorno alla riforma Fornero, quindi non un avanzamento dei diritti ma il ritorno ad una riforma che nei fatti aveva già abolito l’articolo 18 per i lavoratori dipendenti del settore privato. Non è allora quel piano economico il centro del discorso. E’ la perdita di potere contrattuale che un determinato gruppo dirigente sta subendo in questi anni, che sta arrivando alla fine di un percorso che ne produrrà l’estromissione dai centri decisionali, politici ed economici. Questo è in gioco nello sciopero del 12 dicembre, così come lo era nella manifestazione del 25 ottobre. Scambiare allora quella giornata per un appuntamento di lotta è quantomeno fuorviante, almeno se l’ipotesi è aderire alla mobilitazione lanciata dalla CGIL.
Altro discorso è capire come intercettare il diffuso e radicale malessere contro il PD e il suo governo da parte del paese e dei suoi lavoratori. Un pezzo importante di classe che non aspetta altro di manifestare questa opposizione, se solo ne avesse gli strumenti politici. Questo pezzo di paese coglierà anche la data del 12 come appuntamento di lotta, e di certo il nostro atteggiamento non può essere quello di voltarci dall’altra parte ignorando le ragioni sociali della partecipazione a quello sciopero. Rimane però il fatto che la sola possibilità di manifestare il 12 dicembre sarebbe contro la CGIL, non a fianco. La CGIL cioè non è un sindacato moderato o a-conflittuale, ma un apparato collaborativo con il governo del capitale liberista. Non è la FIOM, insomma, che tra i suoi molti limiti prova a mantenere vivo un discorso conflittuale operaio.
Per quanto ci riguarda, è il 9 dicembre contro il Jobs Act il momento di lotta, perché è in quella data e sotto quel palazzo che verrà deciso il futuro produttivo del paese adeguandolo agli standard anglosassoni e quindi del liberismo europeo. Ovviamente va anche immaginato quali possibilità ci sono per la sinistra di classe di intercettare l’opposizione sociale che scenderà in piazza il 12. Un compito non facile, che ci fa rincorrere l’avvenimento invece di determinarlo, purtroppo. Per questo sono utili, e decisivi, momenti di confronto come quello di oggi alle 17.00 alla Sapienza, un momento in cui si cercherà di capire come organizzare la nostra opposizione, moltiplicando i fronti di lotta unendo i percorsi, senza sparire nella giornata di “lotta” della minoranza PD contro il sistema Renzi.