Visioni Militant(i): La spia – a most wanted man – di Anton Corbijn
Difficilmente avremmo potuto assistere alla proiezione di un film tanto smaccatamente anti-arabo e filo-occidentale qualche anno fa. La patina politicamente corretta con cui si cercava di giustificare la “guerra al terrore” di bushiana memoria, quel tentativo culturale di dividere musulmani buoni da islamisti cattivi, oggi è completamente venuto meno, inutile orpello politico ad una guerra che presuppone diverse armi intellettuali. L’ideologia dominante non ha più necessità di giustificarsi culturalmente, e procede a spron battuto nell’attacco politico verso ogni possibile sacca di resistenza. Non esistono musulmani buoni, questo il senso dell’operazione politica del film, a questo punto sospettato di essere finanziato direttamente dalla CIA o da qualche altra agenzia del terrore atlantica (nonostante nel film si faccia finta di criticare i metodi sgarbati e grossolani dei servizi segreti statunitensi).
Buona parte del motivo per cui abbiamo deciso di vedere il film è dovuto alla sceneggiatura ripresa dal libro Yssa il buono di John Le Carrè. Speravamo in qualcosa di simile a La Talpa, un capolavoro difficilmente eguagliabile dal cinema mainstream contemporaneo, e ci siamo ritrovati di fronte ad una buona costruzione filmica al servizio però della peggiore ideologia neo-con. Il film ruota intorno alla vicenda di un “agente segreto” che indaga sulla comparsa ad Amburgo di un musulmano ceceno sospettato di essere un terrorista di Al Queda(!) in procinto di costruire una cellula “islamista” in città (!!). Il musulmano – Yssa – è però un pesce piccolo, e l’opinione dell’eroe, la spia tedesca interpretata da Philip Seymour Hoffman, è che dietro di lui possa nascondersi un personaggio molto più importante, uno dei principali finanziatori delle strategie terroriste in Medioriente. L’obiettivo dei “tedeschi” di giungere al pesce grosso (ovviamente con l’obiettivo di rendere “il mondo un posto migliore”, frase che riecheggia per tutta la durata del film contribuendo all’irritazione generale), si scontra però con i maldestri tentativi della CIA di catturare subito il presunto terrorista così da rivendicarsi mediaticamente il risultato nei confronti dell’opinione pubblica. Lo scontro tra CIA piena di cattivoni e i servizi segreti tedeschi (europei) caratterizzati da lungimiranza politica e buoni sentimenti è al limite dell’insopportabile versione macchiettistica del “poliziotto buono – poliziotto cattivo” riproposta su scala più ampia.
Il problema del film, ovviamente ben confezionato e molto ben recitato, è appunto la narrazione politica sottointesa. Tutti i musulmani presenti nella storia sono dei cattivi. C’è l’arabo spia che tradisce il padre; il professore buono dietro cui si cela uno spietato finanziatore di terroristi; e infine anche il musulmano “buono” (ovviamente il ceceno, ĉa va sans dire) gode degli attacchi terroristici anti-occidentali in Iraq, certificando l’alterità di valori presente tra mondo occidentale e quello arabo-islamico. Nessun musulmano si salva, perché anche quello buono è in fondo ispirato da violenti sentimenti anti-occidentali, dunque contrari alla libertà (ovviamente il ceceno buono è tale perché ha come obiettivo quello di prendere il permesso di soggiorno in Germania e rifarsi una vita dopo essere stato torturato nelle prigioni russe – in qualche modo la Russia doveva entrare nella narrazione totalizzante dei buoni contro i cattivi). Non manca nella ricostruzione anche la presenza della giovane e bella occidentale di sinistra vicina alla sorte dei poveri arabi e che però si rende conto della violenza connaturata alla loro “ideologia” (di morte, inutile specificarlo a questo punto).
Insomma, raramente una tale concentrazione di cliché anti-musulmani ha trovato posto in un’opera artistica che si vorrebbe porre su un piano qualitativo superiore alle crociate culturali degne della Fallaci di turno. Il fatto che tutto questo sia possibile oggi, e che il film venga anche valutato positivamente nonostante la feroce distorsione ideologica che lo caratterizza, è un po’ il segno dei tempi che viviamo. Per quanto ci riguarda, e purtroppo per Philip Seymour Hoffman, lo sconsigliamo vivamente, e anzi invitiamo a boicottarlo.