I mercati contro Dilma, ovvero: nel dubbio vediamo come reagisce il nostro nemico
Siamo ancora in attesa di un qualche commento sulle recentissime elezioni da parte di tutti i brasilianologi che questa estate convincevano le masse a non guardare i mondiali di calcio. Ma d’altronde, la facile profezia espressa a luglio si è puntualmente avverata: il triplice fischio della finale mondiale ha trasformato il Brasile da posto più interessante nel mondo a buco nero geografico. Nel mentre, non possiamo che essere contenti del risultato di domenica, per due motivi. Certo Dilma Rousseff non è un nostro punto di riferimento politico, ma l’alternativa, quella stessa alternativa sponsorizzata da media ed opinione pubblica mainstream, era decisamente peggio, e avrebbe impresso al Brasile quella svolta liberista che Washington tenta da anni di avviare nel continente latinoamericano, l’unico (e ultimo) territorio ancora non sottomesso alle ragioni del liberismo statunitense, asiatico o europeo. Se avevamo dei dubbi sui candidati alle elezioni brasiliane, questi ce li ha tolti la reazione dei mercati, delle piazze finanziarie, nonché i commenti dagli USA. L’attacco speculativo al Brasile è il segnale migliore di come, nella penuria di candidati e di idee politiche che ha caratterizzato questa elezione, Dilma Rousseff rappresentava in ogni caso la migliore alternativa al neoliberismo di Aecìo Neves e soci. L’appoggio al PT da parte della popolazione povera del paese, del poverissimo nord-est, contro gli istinti neoliberisti della giovane borghesia in ascesa delle principali città del sud, di quella stessa borghesia che scende in piazza per reclamare minore corruzione e maggiore stato sociale, è l’espressione più diretta (e anche schematica certo), di un ragionamento più profondo, che dovrebbe farci guardare alle proteste internazionali con occhi meno ingenui.
L’altro motivo che ci fa contenti della tornata elettorale latinoamericana dello scorso fine settimana è il trend progressista che si conferma nel continente latinoamericano. Oltre al Brasile, confermano la propria marcia verso sistemi sociali più democratici e inclusivi anche la Bolivia e l’Uruguay. Al tempo della crisi dell’economia e della democrazia, della partecipazione e delle sinistre di ogni latitudine, e soprattutto al tempo dell’egemonia politica neoliberista, non è poco, ed è anzi l’ennesimo appiglio che ci concede la sinistra latina per far ripartire le ragioni della lotta per un mondo migliore.
Se avevate ancora dei dubbi sul significato del risultato politico di queste elezioni, vi lasciamo con due commenti. Il primo è Fabrizio Lorusso su Carmilla (qui), uno dei rarissimi siti che è stato capace di raccontare e spiegare le dinamiche inerenti a queste elezioni lontane dalle mode politiche del momento. Leggetelo, perché spiega molto meglio di noi la vera posta in palio dell’elezione brasiliana.
Il secondo è il commento di Maduro all’elezione di Dilma Rousseff. Che conclude così: “Se lo dije a Dilma y a Lula (…) la victoria de Brasil es un paso gigantesco que viene a reforzar toda la fuerza revolucionaria en el continente”. Tendiamo a fidarci più di Maduro che di qualche sòla europeo.