La sinistra del lavoro di Landini
Da tempo leggiamo un po’ ovunque di una possibile scesa in campo di Landini alla guida di un nuovo soggetto politico. Il segretario della FIOM si starebbe affermando come il leader per risollevare le sorti della sinistra “a sinistra” del PD, ricompattando le varie correnti in vista di una sinistra capace di rimettere al centro del discorso politico il lavoro. Per ora siamo solo alle indiscrezioni e alle maliziosità dei media, e il soggetto in questione smentisce qualsiasi coinvolgimento in progetti politici di tale natura. Sarebbe però un’ipotesi intrigante, che vale la pena commentare. Se non altro, per dire prima ciò che magari potrebbe essere interpretato come solite valutazioni “col senno del poi”.
Uno dei fatti caratterizzanti questa lunga fase politica è l’assenza di una rappresentanza politica del mondo del lavoro. Scomparso il PCI, tutti i partiti o movimenti politici si sono delineati come espressione delle più disparate visioni del mondo, tutte caratterizzate dal non avere alcun riferimento sociale. Per definizione interclassista, nessun partito si è definito rappresentante di un determinato pezzo di società. L’ambizione, o per meglio dire l’ideologia politica post-moderna, impedisce a qualsiasi organizzazione politica di farsi rappresentante non di una totalità astratta, ma di un segmento sociale preciso. Quella che era la normalità nel ‘900 è divenuta assurdità nel 2000.
Nei fatti, questa resa sociale si è tradotta nella perdita di ruolo del mondo del lavoro, lasciato solo e in mano esclusivamente alle sue rappresentanze sindacali che, com’è evidente, possono resistere nella singola vertenza ma mai far fare un passo in avanti nei rapporti di forza presenti nel cielo della politica, cioè il luogo dove avvengono le decisioni che riguardano il rapporto tra capitale e lavoro. Sempre per rimanere alla realtà dei fatti, la scomparsa del lavoro dalle questioni politiche non ha determinato anche la scomparsa del capitale. Questo continua ad essere rappresentato politicamente. Dunque, in questi decenni, ad un capitalismo che continuava a difendere i propri interessi nel mondo della politica non è stata contrapposta alcuna rappresentanza del mondo del lavoro, e il risultato è sotto gli occhi di tutti. Scomparsi PCI e movimenti di classe, il lavoro ha ceduto salario e diritti conquistati con le lotte nei decenni precedenti.
Se questa è la premessa, non possiamo che valutare positivamente la possibile riorganizzazione politica di una rappresentanza del mondo del lavoro. La nascita di una forza politica coerentemente socialdemocratica, dichiaratamente di parte, legata a un referente sociale ben preciso, non può che colmare un vuoto politico riempito dalle ideologie post-moderne del capitalismo in crisi. Se questa è l’idea che anima l’eventuale tentativo, ben venga. A patto però che si chiariscano alcune cose, riguardanti soprattutto il mondo dei movimenti di classe.
La FIOM in questi anni ha svolto un ruolo centrale e necessario. Quale unico sindacato di massa presente nei luoghi della produzione, è riuscita a resistere alla retorica e alla valanga capitalista imponendo un discorso del conflitto e della resistenza ai tentativi padronali che, per gli anni che corrono, non è affatto scontato. Al di là del merito delle sue battaglie sindacali, ha avuto un ruolo politico importante, quello cioè di mantenere vivo un discorso “antagonista”, che magari non è il nostro, ma che parlava a una platea sociale importante e ormai disorganizzata politicamente, arresasi col tempo alle sirene del nuovismo, del renzismo o del leghismo. Non sarà l’avanguardia sociale che ci aspettiamo ma, come detto, visti i tempi che corrono non potevamo aspettarci molto di meglio. Stesso discorso vale per Maurizio Landini che l’ha guidata in questi anni.
Bene, se tutto questo a noi ci sembra (ed è, lasciando da parte sterili massimalismi) considerevole, bisogna anche aggiungere che la visione politica della FIOM e di Maurizio Landini altro non è che la reiterazione di un discorso socialdemocratico, keynesiano, riformista, che non può essere il nostro, e che è figlio diretto dell’ideologia “picista” del sano riformismo operaio, del patto fra produttori, del costituzionalismo e della legalità quale fine ultimo della “buona politica”. La sinistra dei Cofferati e dei Damiano, dei Salvi e degli Epifani, e di tutta quella combriccola che quando si è posta sul piano politico ha fatto solo danni e repressione.
Se questa è l’impostazione della FIOM e di Maurizio Landini, probabilmente sarà anche quella dell’eventuale nuovo soggetto politico. E dunque, bisogna essere chiari fino in fondo: se il nuovo partito (o come si vorrà definire) sarà un soggetto riformista di classe – e non la solita accozzaglia di trombati della politica finto-riformista – ben venga, ce ne è bisogno, ma non può essere l’orizzonte politico dei movimenti di classe.
Siamo sempre più consapevoli della necessità di una forza riformista coerentemente socialdemocratica che riorganizzi politicamente la classe. Una forza che le sappia ridare una dignità politica, che la rappresenti, che la unisca socialmente nel lavoro e fuori. Insomma, dopo un ventennio abbondante dalla scomparsa del PCI, la mancanza di una forza di quel tipo, capace di arginare l’ideologia post-materialista del liberal-liberismo, ci sembra quanto mai necessaria. Allo stesso tempo, ed è questo che dovrebbe essere evidente, la natura stessa sia del PCI che di una forza che si ripropone (certo in sedicesimi, non ci aspettiamo niente di paragonabile) un lavoro politico di quel tipo, non può che porci in conflitto.
L’assenza di un’organizzazione di classe non ha aperto alcuna prateria ai movimenti, ha solo disorganizzato la classe, l’ha divisa e l’ha lasciata alla mercé di proposte politiche mediaticamente appetibili ma nemiche degli interessi di chi poi le votava. L’incapacità dei movimenti di inserirsi politicamente nel mondo del lavoro è sotto gli occhi di tutti: serve dunque un nuovo riformismo operaio capace di lavorare nella classe. Ma un nuovo riformismo, per quanto possa mettere delle toppe alla ritirata storica del mondo del lavoro, non può essere il nostro orizzonte. Come il PCI, l’eventuale nuovo soggetto politico di Landini farà parte di quel quadro della compatibilità politica con cui noi potremo avere un rapporto dialettico ma non connivente. Potrà essere nostro partner in specifiche battaglie forse, ma in ultima analisi nemico dei nostri interessi, perché in ultima analisi altro non sarebbe che la copertura “a sinistra” di un modello produttivo condiviso, mai posto in discussione. E’ bene dirlo sin da subito. Senza cadere nell’estremismo fine a se stesso, ma senza neanche cedere alle sirene del riformismo (impossibile) in assenza di migliori offerte.