Il colonialismo strisciante parte seconda: da Napoli al Kerala passando per Ferguson
Napoli, Italia: un militare spara “accidentalmente” ad un ragazzo che non si era fermato ad un posto di blocco. Il ragazzo, Davide Bifolco, muore sul colpo. La sacrosanta rabbia popolare si trasforma in manifestazioni di piazza, ma soprattutto in diffusa indignazione verso l’operato dei militari. Un generale sdegno, uno strisciante risentimento, che si fa strada nonostante tutti gli organi deputati alla formazione dell’opinione pubblica (giornali, TG, Parlamento, Facebook, Twitter, commentatori accreditati, radio, ecc) abbiano fatto muro a difesa dei carabinieri e delle istituzioni statali. Un muro costruito sulla contrapposizione artificiosa tra Stato e camorra, una dicotomia fondata sulla falsità di chi si considera unica espressione della vita democratica, ultimo argine alla barbarie mafiosa. O con lo Stato o con la camorra, ci dicono i media unificati. Nonostante questo, e nonostante la pancia assuefatta e biliosa del paese approvi la giustizia sommaria con pena di morte, il pensiero comune è di una sostanziale avversità verso l’operato dei militari e delle forze dell’ordine. Ovviamente non il “pensiero comune” della società nel suo complesso, ma di quella parte che più frequentemente vive sulla propria pelle le varie forme della repressione: politica, sociale, economica.
Golfo del Kerala, India: due militari sparano “accidentalmente” a due pescatori indiani colpevoli, probabilmente, di non essersi subito fatti riconoscere all’intimazione dei militari presenti sulla petroliera Enrica Lexie. I due pescatori, Ajesh Binki e Valentine Jelastine, muoiono sul colpo. La magistratura indiana avvia subito un indagine, ferma i due militari (ma non li arresta: i due militari hanno solo un obbligo di non lasciare lo Stato indiano). Immediatamente la reazione, tanto dei media quanto del paese in generale, a parte poche lodevoli eccezioni, è stata quella del fronte comune con i due militari italiani. Sin da subito, e ancora oggi, trovare il nome dei due pescatori uccisi è un impresa non indifferente; nessuno sa bene cosa sia successo, ma tutti concordano sulla legittimità della giustizia sommaria per preservare i sacri affari contro i fantomatici pirati indiani.
La vicenda dei Marò in fondo ci ha subito raccontato del viscerale pregiudizio colonialista/razzista del nostro paese. La sorte delle due vittime non ha mai, in alcun momento, interessato nessuno. Nessuno sa chi sono, nessuno si è interessato a quello che facevano, men che meno nessuno si è interessato alle loro famiglie o alla reazione della comunità locale. L’inutilità di quelle vite e delle loro vicende è il vero tratto caratteristico di tutta la questione. Al contrario, i responsabili di quegli omicidi sono stati fatti passare subito per vittime, le vere vittime di tutta la questione. Vittime di uno Stato “inferiore”, di una giustizia non all’altezza, di una popolazione primitiva, eccetera.
Quanta differenza con la vicenda di Davide Bifolco, di cui sappiamo (giustamente) tutto, quel tutto che serve a restituire dignità e umanità ad una vittima della militarizzazione dell’ordine pubblico. Soprattutto, sappiamo che quel ragazzo era inserito in una comunità, in un territorio, in un quartiere, con le sue relazioni e le sue vicende umane. Che non era un “delinquente”, pertanto da giustiziare senza troppi problemi morali. E che non cambiava di una virgola il ragionamento anche se fosse stato davvero un delinquente, un criminale, o come si è soliti etichettare una certa marginalità sociale prodotta dalle politiche di espulsione dei ceti popolari dal centro metropolitano della società integrata.
Quello che però ammettiamo qui da noi, questa contronarrazione che si oppone (e si impone) con la lotta alla versione ufficiale dello Stato, non viene riprodotta quando riguarda altre popolazioni, o meglio ancora altre popolazioni considerate non alla pari. I commentatori illuminati, i giornali progressisti, i partiti “radicaleggianti”, oggi fingono di appoggiare la rabbia popolare di Napoli dimenticandosi l’appoggio incondizionato ai due militari assassini, che da due anni vivono in vacanza a spese dello Stato nell’ambasciata italiana. E’ questa doppia morale la vera prova di un pregiudizio difficile da rimuovere, e che anzi vegeta imperterrito sottotraccia, qualsiasi sia il cambiamento della superficie sociale o politica di riferimento.
Qualche giorno fa Infoaut pubblicava un interessante e condivisibile articolo sulle differenze tra Traiano e Ferguson. Alle tante e sagge argomentazioni riportate, se ne può aggiungere anche un’altra che discende direttamente dalle premesse di cui sopra, e cioè dalla persistente mentalità razzista di chi produce opinione pubblica in Italia e in Europa: Davide Bifolco, Ajesh Binki e Valentine Jelastine non condividono la stessa gerarchia sociale nella percezione dei commentatori mainstream, e dunque in quella dell’opinione pubblica. Nonostante i tentativi di espellere quote di “connazionali” dalla società integrata, equiparando precario e immigrato in una perenne marginalità esclusa ed escludente, questo processo non si è ancora assestato. Tale fatto è invece pienamente compiuto negli Stati Uniti, e Mike Brown, assassinato a Ferguson, fa già parte di un’altra comunità, è già “altro” rispetto alla rispettabile società integrata statunitense. Mike Brown è il pescatore indiano, le due sorti sono accumunate dall’inutilità sostanziale delle loro vite. Delle sorti di Mike Brown possono interessarsi i neri come lui, gli esclusi come lui, a differenza di Davide Bifolco, che invece mette ancora in contraddizione i commentatori progressisti nostrani. Le differenze nella qualità politica della protesta discendono anche da questo. Le comunità proletarie nere statunitensi percepiscono immediatamente questa alterità rispetto allo Stato in cui risiedono, questo rifiuto per un sistema che li esclude, cosa che invece non può dirsi per i tanti Davide Bifolco che continuano a morire per mano delle forze dell’ordine italiane.