Consigli (e sconsigli) per gli acquisti: Il Manifesto del Partito Comunista edito da Red Star Press
Da qualche giorno è in libreria una nuova edizione del Manifesto di Marx e Engels. Questa volta però si tratta di un evento importante, per varie ragioni. Da troppi anni Il Manifesto è relegato a curiosità letteraria, riletto più dalla borghesia in cerca di “sensazioni forti” che dai compagni. Ciò che manca, più che una sua riscoperta, è la sua attualizzazione. Il Manifesto è un libro politico e una guida per le lotte di classe, non l’esposizione di una particolare teoria economica o politica. Anche laddove letto “ da sinistra”, purtroppo, questa non riesce a liberarsi dal pensiero di avere fra le mani un testo datato e inservibile, curiosità culturale appunto e poco di più. In questo senso, l’iniziativa della casa editrice Red Star Press è rilevante, perché ci sembra che tale tentativo vada esattamente in questa direzione. Dare la possibilità, attraverso un’edizione agevole e graficamente pregevole, di far viaggiare l’opera comunista sul piano politico e non su quello letterario o intellettuale. E’ proprio questa la forza e l’importanza della Red Star Press, quella di essere al servizio di un discorso politico antagonista, strumento della lotta di classe e non della cultura fine a se stessa. Non è poco, in questa epoca di disimpegno politico del mondo della cultura.
Per di più, questa edizione vede anche la nostra partecipazione attraverso una post-fazione all’opera. Un tentativo rischiosissimo, ne siamo consapevoli, vista la rilevanza del libro e la sua storia fatta anche di introduzioni celebri. Ci siamo limitati ad un commento finale, che punta proprio al cuore del ragionamento espresso poc’anzi: capire come attualizzare non solo il pensiero marxiano, ma quest’opera in particolare. Non sappiamo se ne siamo stati all’altezza. Speriamo però che il nostro commento possa incentivare all’acquisto di un libro troppo noto per essere consigliato su questo blog. Non ci dilunghiamo oltre e, in anteprima, vi proponiamo uno stralcio della nostra post-fazione.
___
Commentare una nuova edizione del Manifesto del Partito Comunista senza cadere nel banale o nel già detto è impresa ardua, vista la fortuna letteraria e politica del testo. Mentre un nuovo ciclo di lotte di classe sembra affacciarsi nel nostro paese, l’unico suggerimento rilevante è sottolinearne l’attualità, cercando di coglierne gli spunti ancora decisivi per il discorso politico corrente e, allo stesso tempo, evidenziare quei passaggi figli del tempo in cui scrivevano i due allora giovani autori dell’opera.
Tale Manifesto, che lungo un secolo abbondante è servito da base per l’assalto al cielo del movimento operaio internazionale nelle sue differenti declinazioni politiche, da troppo tempo ha perso il suo ruolo protagonista. Per molti anni è stato abbandonato quale valido strumento per comprendere la società e le sue dinamiche strutturali; per altro verso, negli ultimi tempi, è stato ripreso come curiosità storica, letto quale retaggio di un tempo ormai (fortunatamente?) passato. Paradossalmente, ripreso più dalla borghesia in affanno che dai movimenti di classe. Ovviamente, la riproposizione “borghese” del testo di Marx ed Engels non ha potuto che condurre a una interpretazione storico-filologica completamente svuotata del suo messaggio politico. La ri-scoperta del pensiero marxista per mezzo della cultura ufficiale ha significato una sua riproposizione in chiave culturale, inserita nella cornice dello scontro fra posizioni economiche, e una completa pacificazione del suo messaggio politico: Marx, insieme a Smith, Ricardo, Malthus o Keynes, quale protagonista di uno scambio intellettuale ed economico riguardante un mondo delle idee slegato da ogni contingenza concreta. Il ritorno in auge di alcuni libri di Marx, e in particolare del Manifesto, ha prodotto dunque in questi anni il fenomeno perverso di certificarne la sua inattualità. Smentire questa presunta inattualità dovrebbe essere il compito di qualsiasi movimento di classe.
Se cinquant’anni fa avessimo domandato a un qualsiasi lavoratore illetterato quale fosse la sua posizione nella società, quali i suoi nemici e di conseguenza quali i suoi amici, difficilmente avrebbe avuto dubbi nel sapersi collocare in un punto preciso della gerarchia sociale, a individuare nei padroni i propri sfruttatori e nei lavoratori come lui i propri fratelli. La stessa domanda riproposta oggi a un qualsiasi precario, magari con laurea, magari impegnato politicamente, difficilmente sortirebbe le stesse risposte. Eppure, lungo tutta l’evoluzione del sistema capitalistico, nulla è cambiato nelle sue dinamiche sostanziali e nei suoi rapporti di sfruttamento. Ecco dunque una prima caratteristica dell’attualità politica del testo marxiano: l’aver avuto la capacità sintetica di individuare una contraddizione sociale ineliminabile, nascosta dal discorso politico ufficiale ma tutt’ora presente. Come infatti analizzano saggiamente i due autori, “la nostra epoca, l’epoca della borghesia, si distingue per aver semplificato i contrasti di classe. L’intera società si spacca sempre più in due grandi campi nemici, in due grandi classi che si affrontano direttamente una di fronte all’altra: borghesia e proletariato”. La borghesia porta cioè a sintesi una dialettica storica sempre presente ma costantemente “nascosta” da soggetti sociali intermedi. Essa “ha collocato la sola incosciente libertà di commercio al posto delle libertà garantite, gratuite e pienamente acquisite. In una parola, ha collocato lo sfruttamento arido, diretto e sfacciato al posto dello sfruttamento mascherato con illusioni religiose e politiche”. Nonostante tutte le evoluzioni del sistema di produzione capitalistico, le sue continue ristrutturazioni, il suo continuo stare al passo coi tempi determinando continuamente nuovi scenari, la contraddizione centrale permane invariata. Dopo decenni di rimozione ideologica della dinamica di classe, comune sia alla cultura liberale sia a quella supposta antagonista, la crisi economica ha rimesso al centro la validità dell’assunto marxiano. Validità provata per altro verso dalla gigantesca proletarizzazione di masse di lavoratori in diversi angoli del mondo, sottoposti a lavoro salariato dall’espansione monopolistica della produzione in aree fino a pochi anni fa relegate al sottosviluppo e alla desertificazione industriale.
Marx ed Engels dunque hanno il coraggio di individuare un nemico, il nemico politico delle classi subalterne, e di identificarlo con quella classe che detiene il possesso dei mezzi di produzione. In anni di costante pacificazione retorica del confronto politico, in cui elites dirigenti si muovono nel solco di un unico discorso, la capacità di rompere questo quadro affermando che fra gli interessi delle classi sfruttate e quelli delle classi sfruttatrici non può esserci terreno comune determina il vero segno rivoluzionario dell’opera in esame. Per inciso, anche al tempo della redazione del Manifesto le classi sociali erano variegate ed eterogenee, e questo viene sempre sottolineato dai due autori. La presunta volatilità sociale, la “società liquida” che spezzerebbe la polarizzazione tra borghesia e proletariato, non era dinamica sconosciuta all’epoca. Solo che, oggi come nell’Ottocento, Marx ed Engel comprendono che tutte le classi intermedie saranno risucchiate nella contrapposizione tra le due classi storiche, le uniche che possiedono autonomia sociale e politica. La piccola borghesia, divenuta nel corso del tempo “ceto medio”, impossibilitata a ragionare da sé, di volta in volta assumerà le posizioni del grande capitale o, al contrario, della lotta del proletariato ad esso. Come bene si capisce oggi in tempi di crisi economica, quello stesso “ceto medio” accomunato per decenni ai valori culturali e politici delle classi dominanti diviene sempre più luogo dove si esprime un confuso rifiuto alle politiche della grande borghesia internazionale.
Non solo questo però. Marx ed Engels intervengono direttamente nel dibattito politico attuale, e sanno dare ancora consigli molto opportuni. In un’epoca in cui sembra essere definitivamente venuto meno, anche (solo?) per le classi subalterne, il ruolo della politica quale momento decisivo per portare avanti le lotte di classe, il Manifesto continua ad essere una guida per l’azione. La “rottura con il Novecento” avvenuta nei movimenti altro non è che l’affacciarsi di un discorso interclassista in cui viene esaltata la diretta politicità dei soggetti sociali, che assumerebbero centralità politica non in base al proprio ruolo nella produzione, ma piuttosto in base alla propria coscienza di sé e alla loro percezione antagonistica. Un potere capitalista pervasivo, biopolitico, a cui opporre un esodo umano di chi, cosciente del proprio ruolo, può liberarsi da sé, qui e ora, dal controllo parassitario del capitale.
La conflittualità sociale sarebbe dunque già immediatamente politica e non sarebbe più necessario distinguere i due momenti: la prima costituirebbe direttamente la lotta per il potere delle classi subalterne. Ma, dice Marx, se “ogni lotta di classi è lotta politica”, non tutte le lotte sociali, o economiche, sono lotte di classe. Per avvenire, questo passaggio necessita di un collegamento, cioè di una sintesi politica: “centralizzare in una lotta nazionale, in una lotta di classe, le molte lotte locali che hanno dappertutto uguale carattere”. È proprio questo il consiglio dirimente e attuale del pensiero marxiano e, soprattutto, del Manifesto del Partito Comunista. Le lotte sindacali hanno necessità di collegarsi su un piano politico, la classe operaia ha cioè necessità di farsi Stato nell’obiettivo della presa del potere. Le lotte di classe sono lotte per il potere e nel portarle avanti la classe, tramite il partito, organizza la propria alternativa di potere. L’organizzazione politica del proletariato costituisce in nuce il nuovo Stato, è l’embrione del potere proletario. Proprio per questo, venendo all’oggi, non è possibile agire esclusivamente sommando le lotte sociali in una prospettiva insurrezionalistica, ma è necessaria una sintesi di queste lotte per trasportarle su un piano politico di potere. È necessaria, cioè, l’organizzazione, che al tempo di Marx si chiamava partito e che oggi può assumere il nome che meglio crediamo. La sostanza rimane però invariata.
Altra questione centrale del discorso marxiano del Manifesto e nel corso del tempo dimenticata è la pluralità delle lotte di classe. Marx ed Engels non parlano mai di “lotta di classe”, al singolare e centrando tutto il discorso sul piano economico, ma di lotte. E questa pluralità, nel corso della storia e fino a oggi, può essere articolata su tre fronti diversi ma compenetrati a vicenda. I tre fronti sono quello familiare, quello sociale e quello nazionale… [To be continued]
___
Il Manifesto del Partito Comunista, di Karl Marx e Friedrich Engels, postfazione di Collettivo Militant, edizioni Red Star Press/Le fionde, 87 pp, 10 euro.