Equilibrismi ucraini
Da subito abbiamo voluto esprimere una posizione netta di denuncia dell’aggressione imperialista di USA, UE e NATO organizzata contro l’Ucraina. Non per improbabili nostalgie proto-sovietiche, quanto perchè si manifesta sempre più evidente la tendenza alla guerra che caratterizza la politica della UE. Ci sembra necessario prendere di nuovo parola sull’argomento, non tanto per quel che riguarda la cronaca della questione, anche se l’evoluzione di queste ore meriterebbe un’attenzione e una mobilitazione non ordinaria, quanto per distinguere, ancora una volta, i protagonisti della guerra in corso in Ucraina e contrastare le forzate analogie tra la piazza Maidan e la legittima resistenza del popolo e della classe operaia del Donbass e di tutta l’Ucraina. E’ sotto gli occhi di tutti, giornalai di regime a parte, che in Ucraina si sia instaurato un regime di terrore attraverso un colpo di stato, che con le elezioni del 25 maggio scorso ha tentato con il pieno appoggio degli USA e della UE di ridarsi uno straccio di legittimità formale. Abbiamo assistito, infatti, alle elezioni più farsesche e tragiche della storia recente. Tragiche perchè mentre nella zona occidentale si votava per l’oligarca di turno, scelto a Washington e Bruxelles, in un regime di terrore (la messa al bando di fatto del Partito Comunista Ucraino è l’esempio più eclatante), nella zona orientale del paese 1/3 della popolazione ucraina veniva sottoposta a bombardamenti aerei e di artiglieria. Farsesche perchè la criminale Unione Europea festeggiava, attraverso il sistema mediatico e la connivenza/omertà di buona parte delle anime belle della sinistra più o meno radicale, le brillanti sorti della “democrazia rappresentativa” nell’est europeo.
Ma torniamo ai commenti di casa nostra, che suscitano qualche dubbio e difficoltà di comprensione su ciò che sta avvenendo in Ucraina, il fatto più grave nello spazio occidentale dalla guerra di aggressione alla Jugoslavia del 1999. Se il quadro che ci si pone davanti è quello di un’aggressione imperialista in piena regola, che utilizza il colpo di stato interno, armando come massa di manovra le milizie nazifasciste, portandole al potere manu militari per la prima volta dal 1945, non ci spieghiamo perchè tanta diffidenza verso chi resiste nel Donbass e in tutta l’Ucraina contro questi criminali. Perchè, ci domandiamo, tanta sufficienza, equidistanza e silenzio omertoso sulle centinaia di morti, sui pogrom, sulla resistenza di un popolo che si raccoglie intorno alle statue di Lenin per impedirne l’abbattimento, che costituisce delle Repubbliche popolari e che vede con una rinnovata coscienza antifascista combattere sul campo i golpisti. Veramente ci risulta molto difficile capire.
Si dice che dietro c’è Putin e che anche settori della destra nazionalista russa intervengono su questo terreno. Certo, nessuno nega ciò, ma questo cambia il giudizio sul carattere imperialista dell’aggressione in corso in Ucraina? Questo legittima a non prendere posizione a sostegno della resistenza popolare a Donetsk e a Lugansk? Di fronte alla spaccatura del paese, alla svendita in corso alle grandi corporation americane e europee, al programma di lacrime e sangue che si sta preparando per le popolazioni ucraine, cosa dovrebbero fare gli uomini e le donne di quel paese se non difendersi dalle mire imperialiste occidentali e dalle bande nazifasciste? Allora parteggiare è necessario, tracciare il campo della difesa antimperialista è un dovere politico. Da questo punto di vista il Novecento non è morto e non può morire, la categoria dell’antimperialismo e dell’antifascismo ha senso anche in Ucraina, non solo nelle più facili località del turismo rivoluzionario.
Le infiltrazioni sospette e rosso brune vanno scoperte e denunciate come abbiamo sempre fatto e quindi cogliamo con piacere che questo lavoro di informazione venga fatto, ma è meno comprensibile che lo si faccia con uno spirito che tende a fare equivalenze tra le due parti in campo. Va invece sviluppato un lavoro di maggiore attenzione, dando risalto alle mobilitazioni sociali che nei giorni che hanno preceduto lo scoppio della guerra in Ucraina ha visto i lavoratori delle miniere del Donbass mobilitarsi, occupando le miniere e armandosi per fermare i nipotini di Bandera. Peraltro troviamo non poco inopportuno liquidare come “filorussa” ogni resistenza popolare, quasi come se non esistessero movimenti e organizzazioni ucraine antifasciste: non a caso l’apparato mediatico di regime insiste da tempo su questa definizione, e forse questo potrebbe bastare nelle nostre fila a muoversi con una ragione più consapevole e una prudenza maggiore.
Purtroppo esiste una diffusa opinione, anche nelle realtà di movimento, secondo cui il Donbass, le repubbliche popolari, la lotta di resistenza delle milizie popolari autorganizzate nell’est dell’Ucraina, sono realtà agitate da Putin e dai vari oligarchi della borghesia nazionale russa, dimenticando che la situazione sul campo è ben più complessa e variegata. A partire dal fatto che il referendum del 11 maggio scorso svolto nelle repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk non ha avuto il riconoscimento della Russia putiniana e, fatto ancora più importante, la Russia ha prontamente riconosciuto il golpista Poroshenko e le repubbliche popolari invece sono in guerra con il nuovo governo in carica.
Nella partita Ucraina è nettamente distinguibile un aggressore e un aggredito, è chiaro il campo degli obiettivi e interessi dell’imperialismo USA- UE e il campo di una parte rilevante del popolo Ucraino, che ha subìto il colpo di mano militare, la campagna di terrore delle squadracce fasciste, salite al potere.
In Ucraina esiste una resistenza antifascista, popolare, operaia e noi stiamo con loro, con quella parte che innalza il vessillo della lotta all’aggressione imperialista, è naturale il sostegno, la solidarietà attiva, l’informazione come già è avvenuto tante volte. Cosa dovremmo fare dall’alto della nostra visione internazionalista, ad esempio non sostenere il movimento di liberazione della Palestina perchè la dirigenza è in larga parte egemonizzata dall’islamismo, dove certo il movimento comunista da molti anni è debole e frammentato? Certo se adottassimo questa modalità dovremmo solo occuparci delle stantìe e misere vicende del nostro cortile di casa.
La questione è molto semplice nella sua tragica concretezza: il nè con l’uno nè con l’altro di antica memoria o peggio la politica ponziopilatesca non è un buon viatico per risvegliare nel nostro campo, internazionalista e di classe, la battaglia per un mondo migliore.