Ci siamo
E’ così è giunta l’ora dei bombardamenti. Dopo l’orchestra mediatica sulle famigerate armi chimiche, montata ad arte per creare il clima adatto da parte dell’opinione pubblica, la solita coalizione di volenterosi (Stati Uniti, Francia, Inghilterra e Israele) si prepara a bombardare l’ennesimo paese arabo. Poco importa che ancora nessuno abbia provato che quelle armi esistano davvero, che siano state effettivamente utilizzate, e che lo siano state da parte del governo siriano. Solo due mesi fa la notizia – questa si accertata – che i “ribelli” bombardavano le città siriane con armi chimiche produsse un fastidioso scrollamento di spalle da parte degli imbarazzati governi imperialisti. Oggi invece nessuno si affanna a ricercare prove. Queste si possono facilmente dedurre da mesi di guerra civile del “popolo contro il dittatore”. Mai ricostruzione è stata più distorta, mai narrazione più tossica di questa raccontata ormai da troppo tempo perché possa reggere. E infatti non regge. La verità, invece, emerge dalle stesse dichiarazioni dei guerrafondai. Obama, senza sprezzo del ridicolo, dichiara oggi infatti che gli obiettivi da colpire “non sono necessariamente correlati agli arsenali chimici” (che infatti non esistono, e non a caso la missione ONU che doveva indagare è tornata oggi a casa senza aver trovato nulla). Guido Olimpo ieri sul Corriere dichiarava (anche qui senza provare alcuna vergogna) che questa situazione “garantirebbe Israele di poter agire in Siria finalmente indisturbato, eliminando nemici, missili e tutto ciò che considera una minaccia”. Anche qui emerge a chi conviene davvero questa guerra, Stati Uniti e Israele in primis, vista la possibilità di regolare alcuni conti storici con la Siria. In secondo luogo, alla Turchia, che “ha per forza un ruolo e sfrutterà un’eventuale operazione militare per cercare di ampliare la sua influenza nel nord della Siria”. Senza contare i vari stati arabi ormai completamente normalizzati alle logiche imperialiste, che infatti vengono descritti come “contenti e più spregiudicati, bancomat della rivolta siriana e uomini dalle tante ambizioni, da sempre a favore di una spallata per scuotere Assad”. Tutto questo viene detto senza mezzi termini, senza neanche il bisogno di dissimulare che questa guerra serve solo a spartirsi le spoglie di un paese chiaramente in contrasto con chi comanda nel mondo. Viene detto chiaramente, come fosse cosa normale, certi che nessuna opinione pubblica si mobiliterà in difesa del paese e del popolo siriano.
Ma la guerra serve anche per uscire dal pantano politico statunitense ed europeo, garantirsi nuovi mercati, continuare ad alimentare quel keynesismo militare che garantisce lo sbocco agli investimenti bellici dei paesi imperialisti. Come dichiarava qualche giorno fa il ministro della difesa italiano Mario Mauro, ogni missione militare italiana nel mondo è “un investimento”, chiarendo direttamente che quelle spese che il governo affronta torneranno indietro moltiplicate, visto che dopo i caccia arriveranno in quel paese le multinazionali occidentali pronte a privatizzare tutto il privatizzabile e ad accaparrarsi l’energia vitale su cui siedono tutti i paesi arabi, cioè il petrolio. Bombardare è un investimento, come spiegava già qualche anno fa Naomi Klein nel suo libro Shock Economy.
Non fa più neanche impressione rilevare il silenzio dei “movimenti” sulla questione. L’assenza di una qualsiasi lettura internazionale e antimperialista non consente di avere una posizione autonoma rispetto alle logiche in campo, e l’unica opinione possibile si riduce a quella di condannare il “male assoluto” di turno, prescindendo da una qualsiasi analisi su ciò che si muove realmente in Siria, e dell’attacco militare che da due anni è costretto a subire il suo governo. Manifestare contro l’attacco militare sembrerebbe renderci complici di Assad, e così l’unica posizione possibile è quella di stare in silenzio e aspettare che la burrasca passi. Certo, sempre meglio di quando si andava a manifestare sotto l’ambasciata libica chiedendo i bombardamenti umanitari, ma quanto tempo è passato rispetto a quando, sempre con la scusa della armi chimiche, gli Stati Uniti si apprestavano a bombardare l’Iraq? Allora non c’era paura di schierarsi contro la guerra, e nessuno cascò nel giochetto di essere apparentato a Saddam Hussein solo perché fermamente convinto che quello che si andava producendo era il solito attacco imperialista a un paese strategico per il controllo mondiale delle risorse energetiche. Oggi l’assenza di una qualsiasi lettura, anche meramente pacifista, impedisce di prendere posizione. E non prendere posizione ci relega già oggettivamente dalla parte di chi bombarda. Senza se e senza ma.