Dinamiche centrosinistre
Succede a volte che delle analisi prodotte da quotidiani filo-padronali abbiano una capacità critica nel leggere le dinamiche interne alle forze politiche più lucide di quanto capita di leggere a latitudini più vicine a noi. In particolare, la scorsa settimana sono uscite due interessanti riflessioni, una sul Corriere della Sera e l’altra ospitata su Sette, il periodico del venerdì sempre legato alla testata milanese. Sul Corriere di sabato 30 novembre Ernesto Galli della Loggia rifletteva sulla natura politica del PD. Chiaramente il punto di vista è quello che è, ma nell’articolo si sviluppava un ragionamento che potremmo tranquillamente far nostro. Anzi, è proprio quel tipo di ragionamento che da anni facciamo anche noi, e che proviamo a proporre a tutte quelle forze politiche o quei compagni che ancora credono in una possibile sponda politica con quel partito. Galli della Loggia afferma la natura coerentemente e compiutamente democristiana del Partito Democratico, trasformato nel corso di questi anni nel vero partito dello Stato, istituzionale, espressione delle classi politiche più coerentemente europeiste, difensore dell’economia di mercato e della stabilità istituzionale. Secondo Galli della Loggia, il PD ha portato a compimento “il progressivo ma ormai compiuto assorbimento-imitazione non solo nella sua funzione sistemica, ma pure dei caratteri interni propri di quella che fu la Democrazia Cristiana”. La fase politica è infatti caratterizzata da “parlamentarismo proporzionalistico che, se non vuole naufragare nel nulla, deve però necessariamente organizzarsi intorno a un partito cardine. Che ieri era la DC, e che oggi è per l’appunto il PD”. Continua il fondo del Corriere spiegando come “la centralità “democristiana” del PD gli viene anche dal fatto di essere oggi il solo e vero “partito delle istituzioni”. “Da molto tempo la gran parte dell’establishment italiano, nello Stato e nella società, si riconosce nel PD”.
Non potremmo essere più d’accordo con quanto detto da Galli della Loggia, soprattutto perché, come detto poc’anzi, è proprio ciò che diciamo da anni. Il Partito Democratico è il partito organico al processo europeista centrato sul liberismo mercatista e sul monetarismo quale ideologia dominante. Si è andato trasformando, come sottolinea bene il giornalista del Corriere, nella struttura di raccordo dell’apparato istituzionale italiano, il partito che esprime la classe politica dello Stato. Pensare anche solo lontanamente di ammiccare elettoralmente a questo pezzo determinante dell’apparato statale è perciò operazione destinata ad alimentare le ragioni della sconfitta storica delle sinistre di classe in questo paese. Non è infatti possibile alcuna convergenza, neanche sui temi elementari quali l’antifascismo, con un apparato che dovrebbe costituire il principale nemico politico per i compagni di ogni latitudine.
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Il giorno prima, sull’inserto settimanale “Sette” compariva un pezzo di Danilo Taino, intitolato I baroni intoccabili della Silicon Valley. Anche qui, la capacità critica dei media liberali arriva dove molte volte si ferma la nostra. Nel pezzo si fa riferimento a come la retorica contro banchieri e finanza, portata avanti da una parte importante dei movimenti “occupy”, abbia sostanzialmente ignorato tutta quella dirigenza capitalista implicata nei processi di innovazione tecnologica. I Zuckerberg, gli Steve Jobs, e tutti i loro epigoni, hanno stipendi, comportamenti, responsabilità e potere d’indirizzo per nulla diversi o inferiori rispetto ai tanto deprecati speculatori finanziari. Ora, sicuramente il pezzo schematizza e semplifica troppo una critica sociale che invece in parte c’è stata (ma non la volgarizza oltremodo: giusto ieri il leader del movimento Occupy Wall Street Micah White dichiarava che secondo lui “il M5S è il più importante movimento sociale del mondo”) . Ma è altrettanto vero che una certa innovazione tecnologica, fatta da I-Phone, Facebook, Google e via dicendo, abbia portato una (grossa) fetta di movimenti a feticizzare l’oggetto in se perdendo di vista il processo produttivo che lo determina. Non è il cliente di Facebook o il possessore di I-Phone a determinare il profitto delle due aziende (e di conseguenza dei loro manager alla moda), in una sorta di vorticoso scambio di creatività sociale messa a valore, ma il rapporto produttivo instaurato da queste aziende nel processo lavorativo. I-Phone è “fico” perché la sua produzione avviene in luoghi del mondo dove il lavoro è a un livello di semi schiavitù, le relazioni sindacali non esistono e i margini di profitto sono vicini al livello assoluto. Se l’I-Phone fosse prodotto negli Stati Uniti invece di 700 costerebbe 7.000 euro, e quello che oggi è un oggetto cult della modernità sociale sarebbe considerato oggetto di lusso destinato ad una ristretta fascia di super ricchi muniti di super cellulare.
Il discorso rilevante del pezzo di Taino è però quando descrive in poche battute di come questi dirigenti industriali siano sponsor attivi di tutte le politiche “democratiche”, ecologiste, liberali, ecc…presenti negli Stati Uniti e in giro per il mondo. Soggettivamente cioè quell’imprenditorialità si sente parte del mondo “di sinistra”, ne porta avanti i valori oggi imposti all’opinione pubblica. Come scrive il giornalista, questi giovani rampanti “fanno donazioni al Partito Democratico. Quando si tratta di diritti civili, sono in prima fila. […] Fanno uso magistrale della comunicazione. Per dire, si battono volentieri per cause sociali: regole più strette nel mercato del lavoro e nella protezione dell’ambiente”. Su questo il giornalista non volgarizza affatto. La realtà è esattamente così. Un mondo di imprenditorialità rampante, neocapitalista, “democratica” in patria e ultraliberista all’estero, fa parte del riferimento sociale di una certa sinistra. Basti pensare ai manifesti per Steve Jobs fatti da SEL nella (felice) occasione della sua morte. Non è dunque un discorso che riguarda solo la degenerata sinistra statunitense, ma un discorso che coinvolge anche la sinistra italiana, anche quelle parti che vorrebbero porsi come maggiormente radicali rispetto alle politiche di centrosinistra. E’ bene dunque dire che una “sinistra” che ha degli imprenditori come riferimenti ideali non è, semplicemente, sinistra. E dunque vale lo stesso discorso riguardante il PD: non ci chiedessero il voto in nome di presunti valori condivisi, perché i nostri sono in antitesi con quelli che esprimono loro.
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In conclusione, a proposito di dinamiche apparentemente interne al mondo della sinistra, è opportuno spendere qualche parola sul ritrovo di Grillo a Genova della scorsa domenica. Una piazza e una serie di parole d’ordine che stanno prepotentemente spostando il ruolo del M5S in nuova Lega Nord, un contenitore della protesta populista che guarda al mondo della piccola e media imprenditoria “evasora”, che vede nel processo europeista il suo principale nemico in quanto impossibilitata a reggere la concorrenza delle economie di scala, elettrice convinta del “forzaleghismo” fintanto che questo riusciva a dare una rappresentanza concreta di quegli interessi, e oggi politicamente spaesata. Un bacino elettorale importante, che probabilmente impedirà al M5S di tracollare elettoralmente (ma non di dimezzare i suoi voti), ma segno evidente del riposizionamento del movimento proprietario della Casaleggio&associati. La scomparsa della Lega non ha fatto venir meno le ragioni della sua passata forza elettorale, che stavano proprio in quella composizione sociale schiacciata dalle dinamiche globalizzate tendenti ad escludere ogni possibile produzione legata ad economie distrettuali e/o di piccole dimensioni. Grillo, cercando di sostituire Bossi nel tentativo di rappresentare il mondo della piccola borghesia anti-statale, ne sta riproducendo pedissequamente anche le proposte politiche, come ad esempio la richiesta di dazi doganali per le merci importate dalla Cina. Una dinamica che produrrà l’assottigliamento di voti della sua creatura e il suo spostamento sempre più verso posizioni esplicitamente di destra. Anche qui, chiarendo qualche equivoco sorto in questi anni dalle nostre parti.