Chi la dura la vince
Ieri è stato pubblicato da Il Manifesto l’appello della campagna nazionale contro la tortura di Stato. Dopo settimane di pressioni e di iniziative, alla fine hanno ceduto. La pubblicazione è avvenuta però con un commento della redazione in cui non solo prendevano le distanze apertamente dalla lettura che l’appello da degli anni Settanta e del contesto in cui maturarono quelle torture, ma anche definendoci con epiteti poco edificanti. Non c’è problema, sta nelle cose e non pretendevamo certo una condivisione politica da parte di un organo che da anni ormai ha abbandonato la strada del comunismo. Fa specie comunque notare quale tipo di lettura gli da il giornale. La contestualizzazione storica viene definita come “al limite del delirio giurassico”, non rendendosi conto della posizione ridicola sulla quale si pongono. Da settimane appoggiano una manifestazione, quella della via maestra, composta da pensionati in vena di protagonismo, ex trombati della politica, sindacalisti in cerca del salto di visibilità, e il tutto attorno ad una piattaforma da Italia anni cinquanta: la difesa a spada tratta della Costituzione. Nessuno gli ha spiegato che quella carta che pretendono di difendere è stata già ampiamente svuotata di ogni significato concreto da decenni, e proprio grazie all’avallo di quella sinistra riformista che sabato si ritroverà in piazza. Se noi siamo i giurassici, questi vivono nel mesozoico, ragionando come gruppo di pressione di un PD che non hanno inteso essere una (grande) parte del problema, e non una possibile soluzione, solo da spostare un po’ più a sinistra. Nella medesima edizione, campeggiava in prima pagina una bella assemblea del PD, reclamata con tutta la visibilità del caso. Strano atteggiamento quello di un giornale che si affanna a precisare la propria posizione rispetto a un appello esterno al giornale, e invece trova normale ospitare in prima pagina un’assemblea del partito delle larghe intese, del capitale internazionale e della repressione politica. Contenti loro, contenti tutti, ma almeno la facessero finita con quell’epiteto, “comunista”, col quale non hanno nulla a che spartire da almeno due generazioni.
Ma, come dicevamo, l’appoggio del giornale ci interessava poco, e soprattutto non cambiava di una virgola la natura politica del giornale stesso. Oltre a ricercare in ogni contesto possibile quella visibilità adeguata a una campagna di questo tipo, appoggiata peraltro da un vasto mondo militante e intellettuale che evidentemente vive come noi nel giurassico, una volta capito in quale genere di censura eravamo incappati, l’obiettivo della pubblicazione era anche un altro. Quello cioè di smascherare il livello di ambiguità che da anni vive questo giornale. Un giornale che si pretende comunista, che si descrive come interno alle lotte dei compagni, e che poi applica una forma di censura verso una campagna importante, non fosse altro per il livello di condivisione e di adesione raggiunto. Le scelte politiche hanno sempre un prezzo. Per troppi anni Il Manifesto ha deciso di non pagare quel prezzo, vivendo in quell’ambiguità che gli ha permesso la vendita di qualche copia in più. Oggi apprezziamo comunque la risposta, che almeno delimita un campo e spiega una posizione. Apprezziamo anche l’impegno di alcuni giornalisti e redattori, convinti, nonostante la differente lettura, del diritto per i compagni di essere comunque pubblicati e ascoltati. Troppe volte nel corso di questi anni i compagni sono andati incontro alla censura del giornale. Troppe volte hanno lasciato correre, non insistendo, considerando in fondo scontata la diversità, e dunque la legittimità a non essere pubblicati. Questa volta però siamo andati fino in fondo, e crediamo giustamente, perché una posizione politica vive solo se si hanno le forze e la capacità di farla vivere, di renderla un fatto concreto, e non unicamente un movimento d’opinione e meramente intellettuale. Ci vediamo martedì a Perugia, per sostenere la battaglia di Enrico Triaca contro lo Stato e i suoi apparati repressivi. Sarà una giornata importante, sarà necessario esserci.