Le nazionalizzazioni al contrario
Da un po’ di giorni stiamo assistendo al solito film italiano della nazionalizzazione al contrario. Un’azienda privata è in crisi, magari in un settore considerato strategico per l’economia nazionale; si apre un dibattito politico su come salvarla, con quali strumenti, e cosa farne dei lavoratori; interviene il governo esprimendo vicinanza alle ragioni dei lavoratori e mettendo in campo la solita proposta dell’acquisizione temporanea dell’azienda, per risanarla e renderla nuovamente competitiva. Lo abbiamo visto nel caso Ilva di Taranto, lo stiamo rivedendo per la questione Alitalia. Questa dialettica, fra opposti esponenti politici e apparentemente fra opposte posizioni, è in realtà tutta interna ad un’unica visione del mondo. Non c’è una scelta fra le posizioni, perché sono tutte riconducibili ad un’unica visione, quella cioè della proprietà privata dei mezzi di produzione strategici (attenzione: qui parliamo di quei mezzi di produzione rilevanti per lo sviluppo nazionale, che anche un capitalismo keynesiano dovrebbe considerare patrimonio della collettività).
Quello che infatti gli esponenti del governo propongono per Alitalia non è una nazionalizzazione, cioè una riacquisizione dell’impresa strategica da parte dello Stato, come invece vorrebbero far credere coloro che rifiutano questa politica da posizioni di destra. Il governo, esattamente come per il caso Ilva, vorrebbe gestire temporaneamente i conti dell’impresa di turno, stavolta Alitalia, ripianandone i debiti, e successivamente ricollocarla sul mercato per poter sfruttare un valore di mercato maggiore, che però andrebbe nelle tasche degli imprenditori privati proprietari dell’impresa. Gli imprenditori cioè vorrebbero sfruttare la presunta “strategicità” dell’impresa per far ripagare allo Stato, con le tasse dei lavoratori, quei debiti che proprio quegli imprenditori hanno accumulato.
Questo peraltro non sarebbe neanche assurdo (sempre ragionando in termini capitalistici) se poi l’impresa rimanesse in mani pubbliche. Si sarebbe affrontato un esborso economico per risanare un’azienda rovinata dal settore privato, ma poi sarebbe lo Stato a gestire i profitti. Ma quello che avverrà, e che hanno in mente gli esponenti del governo, è mantenere la proprietà privata dell’impresa dopo averla risanata con i soldi pubblici. Insomma, l’ennesimo tentativo di nazionalizzazione al contrario, dove l’imprenditore non rischia mai nulla perché consapevole che, se le cose si mettessero economicamente male, ci sarebbe comunque il settore pubblico a risanare i suoi debiti. Insomma, la solita collettivizzazione dei debiti e privatizzazione dei profitti. Il problema è la retorica politica che se ne ricava. Dipingendola come *nazionalizzazione*, i media e i politici vorrebbero far credere che statalizzare le risorse economiche sia solo una spesa per la cittadinanza, fatta unicamente per spartirsi quote di potere, e senza il riscontro economico di un possibile profitto. E’ l’ideologia politica prodotta dietro questi fatti allora il vero nemico contro il quale combattere.