Sbatti il mostro in prima pagina!
In seguito a una rissa avvenuta a febbraio, in occasione di una festa universitaria alla Statale di Milano, giusto l’altro ieri sono stati arrestati due compagni milanesi appartenenti all’Assemblea di Scienze Politiche, accusati di lesioni personali gravissime e minacce aggravate, in quanto ritenuti corresponsabili del pestaggio di un ragazzo. A prescindere dal fatto che quest’ultimo fosse un semplice cretino o un provocatore (in quanto stava imbrattando un manifesto), a Lollo e Simone va tutta la nostra solidarietà e la richiesta della loro libertà. Come se non bastasse la vicenda giudiziaria, incomprensibilmente in mano all’Antiterrorismo (nonostante tutte le parti concordino sulla non politicità dell’accaduto), i due compagni stanno subendo in queste ore anche l’allegro lavoro della ben nota “macchina del fango”: i principali quotidiani ricamano sull’accaduto e mostrano un particolare piacere nel dileggiare gli arrestati e nel costruire improbabili collegamenti. I presunti aggressori sono descritti alla stregua di bestie, “azionati da una degenerazione di una qualche idea politica oppure mossi dalla pura ansia di massacrare, dall’istinto di far male per un qualunque pretesto” (Corriere della Sera) e pronti a minacciare per imporre il silenzio ai pestati, secondo Repubblica, che arriva a inventarsi un virgolettato, come se il giornalista fosse stato presente ai fatti. È un attimo, per i prodi scrivani, passare ai collegamenti politici: la No Tav, la militanza all’università (che viene trasformata in una sorta di bivacco: “frequentata da anni, da sempre, da tempo immemore a prescindere dal completamento degli studi”, sempre il Corriere della Sera, che la sa lunga). Repubblica arriva persino a mettere le mani in avanti, citando i rischi per il prossimo raduno neonazi in terra lombarda. Temendo di venire superato a destra, il Corriere inventa una “chicca”: chiede un contributo al suo Paolo Di Stefano, che di solito si dedica alla letteratura, ma che non si tira indietro quando il padrone chiama. Ne esce fuori un articolo tragicomico, in stile anni Cinquanta: “da molto tempo un’area dell’Università Statale di Milano è diventata una zona franca per (noti) vagabondi e provocatori ex universitari che si definiscono confusamente «antagonisti» (probabilmente per darsi un tono di idealità), poiché appena possono non trovano di meglio che infiltrarsi in cortei, manifestazioni (come quelle dei no Tav) e centri sociali per scatenare la loro furiosa demenza”.
Sono meccanismi che conosciamo bene. Oggi sono capitati a Lollo e Simone, prima identificati come capri espiatori della rissa (in quanto militanti politici) e poi usati come prototipo del “contestatore”, con una figura retorica che si chiama sineddoche, ma che dovrebbe chiamarsi infamità. Un’ultima, amara considerazione: la visibilità acquisita da alcune lotte sociali (la No Tav oppure l’opposizione all’aziendalizzazione dell’università) rende oggi i militanti oggetto di un’attenzione mediatica addirittura morbosa. La loro esistenza viene scannerizzata, alla ricerca di un qualunque evento (una rissa, una canna fumata, un tamponamento con l’auto, un dito nel naso) che possa screditarli e possa suggerire all’opinione pubblica la loro incoerenza e l’incongruità della lotta che stanno conducendo. Ai compagni e alle compagne impegnati nelle lotte sociali viene chiesto un comportamento specchiabile e perfettamente coerente con la legalità (legalità borghese, peraltro). Il comportamento che dovrebbe essere preteso da un parlamentare – in quanto rappresentante della sovranità popolare – oppure da un appartenente alle forze dell’ordine – in quanto deputato a far rispettare la legge – viene curiosamente richiesto a chi non ha la pretesa di rappresentare altro che la propria classe sociale, che non può essere composta evidentemente dai lettori del Corriere della Sera o di Repubblica.
In ultimo riportiamo un contributo a firma degli avvocati che difendono Lollo e Simone:
“Alcuni ragazzi si sono picchiati ad una festa di carnevale in università. Sfortunatamente, uno di loro si è fatto male. Un fatto serio, certo, ma uguale a mille altri che succedono e succederanno, a un concerto, in discoteca, per strada.
Reati comuni, si chiamano. E se i due studenti arrestati ne risulteranno giuridicamente responsabili – se, perché per ora si dovrebbe ancora presumere che non lo siano -, ne risponderanno. Ma non è questo il punto.
Il punto è: se di reati comuni si tratta, perché allora le indagini sono condotte dalle sezioni antiterrorismo dei carabinieri e della procura? Perché avrebbero cominciato a litigare per un manifestino politico? E se avessero discusso per questioni di tifo calcistico, cosa sarebbe successo, sarebbe intervenuto il Coni?
Quel che è certo è che intanto sui quotidiani si sprecano i ragionamenti che partono dalla militanza politica degli arrestati e arrivano a giudicare, col metro del litigio alla festa dell’università, la lotta no tav o l’esperienza dell’ex-Cuem alla statale.
Ma fare ragionamenti basati sul presunto incipit del litigio per condannare esperienze del tutto estranee, questo si, è politico.
E lo è in un senso ben preciso. E’ reazionario.
Si vuole discutere di Tav? Bene, lo si faccia, ma allora si parli di infiltrazioni mafiose, di costi, di utilità, del diritto di decidere del proprio futuro.
Si vuole discutere dell’ex-Cuem? Bene, si parli di università, di baronaggio, di università azienda, degli effetti della riforma Gelmini.
Si vuole parlare di politica? Lo si faccia in termini di onestà intellettuale e di verità.
Questo se qualcuno spera ancora di cambiare qualcosa. Se no, andiamo pure avanti così, con buona pace di chi ancora ne ha.
Un tempo si diceva che solo la verità è rivoluzionaria.”
Avv.ti Eugenio Losco e Mauro Straini (difensori degli indagati)