26 e 27 maggio, elezioni comunali. Inizia…
In questa tornata elettorale cittadina abbiamo deciso di astenerci. E’ necessario però spiegare bene la nostra scelta del non voto, perché da molti anni questa è stata delegata a opzioni politiche assolutamente distanti dal modo di pensare e d’agire dei collettivi comunisti.
Non siamo astensionisti per principio, e anzi crediamo che un movimento di classe debba portare il conflitto anche all’interno delle istituzioni statali con suoi rappresentanti. Crediamo che, intelligentemente e creativamente, le organizzazioni comuniste debbano sfruttare ogni margine che il nemico lascia loro. Perciò, anche le assemblee elettive costituiscono un luogo dove far valere la propria battaglia. Oltretutto, si tratta di istituzioni non gentilmente concesse dallo Stato, ma conquistate dai lavoratori nel corso di decenni di dure lotte di classe.
Il discorso è che noi siamo astensionisti qui e ora. Non votiamo perché non è presente, al momento, alcun movimento antagonista forte e credibile a livello nazionale o locale, che possa essere rappresentato nelle aule parlamentari. Il conflitto, prima di essere portato all’interno delle istituzioni borghesi, dovrebbe prima essere prodotto nella società. L’assenza di qualsiasi conflitto fuori dal palazzo produrrebbe solo finti rappresentanti intenti a gestire la fase di crisi, piuttosto che puntare a una deflagrazione della stessa. Dunque è evidente che chi si candida lo fa non per rappresentare il conflitto, che non c’è, ma per gestire le briciole che il potere lascia cadere sotto il tavolo della rappresentanza politica.
L’assenza di conflitto politico è la diretta conseguenza dell’assenza di una qualsiasi forma di organizzazione politica capace di dare alle varie vertenze sociali un collegamento. I nostri territori sono attraversati da una miriade di vertenze sociali e/o sindacali, ma nessuna di queste trova il suo collegamento politico in una piattaforma capace di contenere in se l’ipotesi di organizzazione rivoluzionaria. Le migliaia di vertenze sociali che attraversano il paese sono tutte accomunate dall’essere difensive, conservative di un determinato status quo sociale e in definitiva perdenti, nel breve o nel medio periodo. Nessuna iniziativa è capace di migliorare la condizione sociale di chi la promuove, ma è generata unicamente da un attacco padronale, al quale si risponde con forme più o meno efficaci di resistenza.
Dunque, prima di chiedere il voto, chi si candida a rappresentante dei movimenti antagonisti dovrebbe attivarsi per costruire questa forma embrionale di organizzazione politica, poi semmai ricercare la rappresentanza nei parlamenti, nazionali o locali che siano. L’inversione di questo processo ha prodotto la degenerazione politica di questi anni, per cui nessuna organizzazione politica ha un suo punto di riferimento sociale, tutte sono slegate da un qualsivoglia rapporto di classe, e tutte puntano sul successo mediatico di questa o quella trovata elettorale (producendo partiti personali o d’opinione). Non pretendiamo un’organizzazione rivoluzionaria qui e ora; prima di pretendere il voto, però, dovremmo lavorare quantomeno per la nascita di una organizzazione di classe, che sia emanazione di un lavoro nei territori e nelle contraddizioni sociali, oggi assente. Le scelte politiche sarebbero già un passaggio successivo.
A corollario di questo ragionamento, c’è il dato storico della costante perdita di peso e di funzioni che le assemblee politiche istituzionali stanno registrando in questi anni. A causa delle scelte politiche di chi negli ultimi vent’anni sedeva nei parlamenti, questi hanno ceduto nel corso del tempo sempre più potere. Questo peraltro avveniva in un processo più ampio di dimagrimento del potere statale. Lo Stato, per una sua precisa visione d’insieme degli attuali rapporti fra le classi, in questi anni tende a spostare verso entità sovranazionali quote rilevanti dei suoi poteri, che aveva accorpato per una parte importante del novecento. Lungi dall’essere un processo irreversibile, ci chiediamo però che senso abbia, a fronte di questo continuo dimagrimento, la richiesta di un voto addirittura per un’assemblea cittadina priva di qualsiasi potere che non sia quello di decidere la dislocazione delle fermate dell’autobus o delle fontanelle.
Attualmente una candidatura alle elezioni non definisce altro che uno scollamento tra i “cittadini” e chi aspira a rappresentarne le istanze, se inserita nel quadro di sfiducia totale delle persone nei confronti degli organi istituzionali, a livello nazionale come a livello locale, dovuta in parte alle continue dimostrazioni di una “classe politica” corrotta ed opportunista. L’astensionismo crescente ad ogni elezione, che alle ultime politiche ha toccato il dato storico del 25%, unito al “voto di protesta” ai grillini, è testimone del distacco di larga parte della popolazione dalla politica istituzionale.
Decidiamo dunque di non votare. Nonostante la candidatura di molti compagni e nonostante la sincerità di alcune ipotesi politiche, la situazione generale e la sostanziale pacificazione politica impediscono di avallare assemblee e istituzioni prive di significato sostanziale. Le scelte di questi anni di alcune parti di movimento, che hanno puntato sulla gestione consociativa mirante alla sopravvivenza, continuano a non pagare, a non cambiare neanche in minima parte la realtà dei fatti. La vera svolta sarebbe prendere atto del fallimento di tale tattica e provare a fermarsi un giro ripartendo da noi stessi.
Per questo alle prossime elezioni comunali del 26e 27 maggio abbiamo scelto di presentare l’unico candidato che ci sembra adatto a rappresentarci in questa fase: NESSUNO!
Comitato elettorale Nessuno Sindaco